Antonio e Papa Francesco in Bangladesh
Quasi precursore del viaggio papale in programma in Bangladesh dal 30 novembre al 2 dicembre – dopo la tappa in Myanmar dal 27 al 30 novembre – sant’Antonio ha voluto precedere Papa Francesco, facendo visita al Paese asiatico. Ideatore e anima del Pellegrinaggio delle reliquie di sant’Antonio in Bangladesh è stato l’arcivescovo di Dacca, cardinale Patrick D’Rozario, che ha desiderato e programmato questo evento, recandosi più volte personalmente a Padova per parlare con il Rettore della Basilica e per invitare i frati.
Il cardinale intervistato in vista della visita antoniana ha tenuto a ribadire che l’attaccamento al Santo è stato e continua ad essere molto forte: «Il Bangladesh ha ereditato questa devozione dai portoghesi, venuti nel XVI secolo. Fino ad oggi tra i cristiani di tutte le tradizioni rimane una notevole devozione e rispetto per la figura di Sant’Antonio, e non solamente perché attraverso di lui la gente riceve tanti benefici da parte di Dio. L’amore per sant’Antonio è davvero un affetto autentico».
In viaggio con il Santo
La prima settimana di febbraio, insieme con padre Paolo Floretta, in servizio con me alla Basilica, sono partito con il prezioso busto dorato, contenente le reliquie del Santo, alla volta del Bangladesh. Il viaggio ha portato sant’Antonio, e noi suoi accompagnatori, a visitare, in nove giorni, la capitale Dacca, e le città di Chittagong, Barisal, Mymensingh, Rajshahi, e alcuni centri più piccoli, raggiunti con ogni mezzo di trasporto: lunghe ore in auto su strade non proprio scorrevoli e piuttosto accidentate, salendo e scendendo da aerei locali, viaggiando con i traghetti sul maestoso fiume Gange, e perfino a bordo di «risciò processionali» nei villaggi della foresta del Bengala.
Dovunque i vescovi e i fedeli hanno accolto il Santo con ogni onore, e con incontenibile gioia. Un aiuto essenziale all’organizzazione e realizzazione della visita è stato offerto dal Nunzio apostolico, monsignor George Kocherry, e dal segretario della Nunziatura, don Luca Marabese. La presenza dell’ambasciatore della Santa Sede, fin dall’arrivo in aeroporto e in diverse occasioni, è stata determinante nelle questioni burocratiche, e per favorire i contatti con le autorità civili e di pubblica sicurezza.
L’incontro con l’amico
In questo Paese soggetto ai monsoni asiatici, i festeggiamenti antoniani che altrove si tengono a giugno, sono rinviati a un mese meno piovoso per permettere ai pellegrini di spostarsi e confluire al Santuario nazionale eretto in onore del Santo dei Miracoli, in località Panjora, non lontano dalla capitale. Qui si trova la prima chiesetta costruita dai missionari portoghesi, nel 1500, dedicata a sant’Antonio. Ospita una minuscola statuetta antica del Taumaturgo, immagine veneratissima dalla popolazione.
Nei giorni della festa, 2 e 3 febbraio, sono accorse a venerare le reliquie del Santo più di 70 mila persone. Donne drappeggiate nei loro sari multicolori, numerose religiose, uomini e giovani. Devoti cattolici certo, ma anche di fede indù e musulmana, accomunati dall’aver sperimentato la vicinanza di Antonio e il favore di Dio per mezzo della sua intercessione: per una guarigione insperata o il dono di un figlio tanto atteso.
Monsignor Francis Gomes, vescovo ausiliare di Dacca, in prima linea nella gestione pratica del pellegrinaggio, ha comunicato ai giornalisti di AsiaNews il suo stupore per le dimensioni dell’evento religioso: «Siamo sbalorditi nel vedere il rispetto che la gente nutre per sant’Antonio. In migliaia stanno arrivando per vedere le reliquie. Aspettano in fila anche per un’ora, e nel momento in cui giungono al suo cospetto scoppiano in lacrime di devozione, e pregano per l’intercessione del Santo».
La povertà non frena l’accoglienza
Dopo la sosta al santuario e nella capitale, la «corsa a tappe» delle reliquie è continuata tra cattedrali affollate all’inverosimile di devoti, monasteri di Clarisse trepidanti di gioia, parrocchie di città attorno alle quali il traffico andava in tilt all’arrivo del Santo, fino a piccoli villaggi di campagna, incastonati tra risaie e grandi fiumi, dove la preghiera poteva protrarsi per tutta la notte. Nonostante la visibile povertà della popolazione, l’ospitalità orientale, unita alla sincera devozione dei cristiani, ha saputo compiere miracoli di accoglienza per le folle che affluivano in ogni chiesa dove facevano sosta le reliquie.
Molti pellegrini dovevano percorrere anche decine di chilometri, a piedi o con mezzi di fortuna, e i parrocchiani, con estrema generosità, non facevano mancare loro ombra per riposare, riso per rifocillarsi e acqua potabile (nient’affatto scontata a queste latitudini): si preoccupavano non solo dello spirito, ma anche delle esigenze del corpo di quanti il buon Santo attirava nelle loro chiese.
Noi frati abbiamo avuto il privilegio di accompagnare sant’Antonio nell’incontro con tantissime persone ricche di religiosità, che mai – vista la loro indigenza materiale – avrebbero potuto realizzare il sogno di recarsi a Padova e pregare sulla tomba del loro patrono e amico. Antonio continua ad evangelizzare e a diffondere, intorno a sé, il desiderio di conoscere Cristo: vero missionario che non ha mai smesso di percorrere i sentieri delle periferie del mondo, facendosi vicino ai quanti lo invocano con affetto e umile pietà.
La gioia di essere cristiani
La Chiesa cattolica in Bangladesh rappresenta un’esigua minoranza, una frazione dell’uno per cento eppure per il cardinal D’Rozario la situazione minoritaria della chiesa nel suo Paese è, in realtà, una sorgente di forza. È convinto che anche Papa Francesco condivida questo sentire: «Direi che la Chiesa sarà sempre minoranza, un piccolo gregge – diceva Gesù» – e spiega: «Quando diventiamo maggioranza siamo a rischio di perdere i valori del Vangelo. I cristiani devono essere il sale della terra. Ma in una ciotola di riso non c’è bisogno di un’intera ciotola di sale per renderlo saporito, ne bastano pochi granelli. La Chiesa in Bangladesh è proprio così. Il Papa è qui per tutti noi, non soltanto per i cristiani. È considerato come la voce della coscienza del mondo e la gente lo rispetta. La sua personalità supera i confini delle nazioni, delle culture, delle religioni».
L’arcivescovo D’Rozario è il primo cardinale d’origine bengalese nella storia. Proprio Papa Francesco ha voluto conferirgli la porpora per segnalare il suo desiderio di vedere avanzare in primo piano le chiese più lontane dai centri di potere e di prestigio.
In attesa di abbracciare Francesco
La visita del Papa in Bangladesh darà modo di sottolineare alcuni temi che stanno a cuore al Pontefice, autore nel 2015 dell’Enciclica Laudato si’ sulla cura del creato. I temi ecologici sono drammaticamente all’ordine del giorno nei Paesi del Sud dell’Asia. Il Bangladesh è un Paese ferito dai cambiamenti climatici che provocano annualmente gravi inondazioni con centinaia di vittime, e dall’inquinamento delle acque: «La visita papale porterà speranza per i Paesi colpiti dagli sconvolgimenti climatici – dice il Cardinale –. Certamente il Papa userà pure la sua parola a favore dei lavoratori più poveri, come gli operai delle fabbriche tessili di cui, pochi anni fa, ha rimarcato le condizioni di “moderna schiavitù”; e ciò è stato ampiamente diffuso e apprezzato sui mezzi di comunicazione del Bangladesh».
«Anche il dialogo interreligioso sarà stimolato», prevede il cardinale D’Rozario, e sottolinea lo slogan della visita papale: Armonia e Pace. «Il Santo Padre gode di grande considerazione tra persone di ogni religione. Potranno vedere un leader religioso parlare con loro e stare con loro». Pur riconoscendo che in Bangladesh l’armonia tra le diverse religioni è piuttosto buona, il cardinale vede comunque degli ostacoli per i cristiani che non hanno una «piena libertà di predicare la Parola di Dio, di annunciare Cristo», e non nasconde i pericoli e l’esclusione sociale a cui vanno incontro i musulmani che desiderano entrare nella famiglia della Chiesa.
Papa Francesco, nel corso del suo viaggio, incontrerà anche il presidente e il primo ministro del Bangladesh, e vari leader religiosi. In programma anche una visita al Memoriale dei Martiri della Nazione a Savar, e al Museo Bangabandhu di Dacca che ricorda il Primo presidente del Bangladesh, Sheikh Mujibur Rahman, che qui, nel 1975, fu assassinato con moglie, figli e il personale del suo staff da un commando di militari.