Pisticci Scalo, sentinelle del futuro
«Anietta Nina, Anietta Nicoletta, Calabrese Cosimo, Calvini Donato, Laviola Graziano. L’eterno riposo dona loro Signore. Splenda a essi la luce perpetua, riposino in pace». Pisticci Scalo, provincia di Matera, ultima domenica del mese. Dal 2016 don Giuseppe Ditolve, sacerdote proprio nel rione di Pisticci Scalo, promuove l’iniziativa «Per non dimenticare: una Messa per la vita».
Durante la celebrazione invita i propri parrocchiani a pregare per i compaesani morti di tumore, leggendo l’elenco dei loro nomi. Sono 369 dagli anni ’70: 8 tra il 1970 e il 1979 e quasi 200 negli ultimi dieci anni. Tutti del comprensorio di Pisticci, tutti morti per patologie tumorali. Erano, in larga parte, operai, uomini e donne che tornavano dalle aziende chimiche della zona, dove ancora oggi vengono trattate le acque di scarto dell’estrazione del petrolio.
Un «registro» che don Giuseppe, all’epoca vicario parrocchiale della chiesa del Cristo Re, ha aggiornato sulla base delle comunicazioni fornite alla parrocchia dalle famiglie. Un’incidenza sulle cui cause si fanno ancora tante ipotesi, verosimilmente riconducibili a fattori ambientali legati alla pesante eredità dell’industria chimica nella Val Basento.
«Un’iniziativa che, purtroppo, ho dovuto interrompere. I dati erano incompleti per difetto: non tutte le persone avevano dato il proprio consenso, probabilmente per timore, o forse per omertà».
Sceglie due aggettivi don Giuseppe per raccontare la sua Basilicata: «Bellissima e martoriata». In questa regione è nato e cresciuto, precisamente a Irsina (MT). Sempre qui, tra paesaggi naturali mozzafiato e fabbriche spuntate come funghi, è diventato parroco. Oggi guida la parrocchia di San Giuseppe Lavoratore nel quartiere ex Snam.
La chiesa sorge all’ombra dei capannoni industriali. «La nostra terra ha ricevuto in dono non solo aria salubre, uno splendido paesaggio con pianure, colline e monti, un clima mite e tanti terreni fertili in cui si coltivavano prodotti di ottima qualità selezionati dal lavoro dei nostri avi, ma anche tanta buona acqua che ancora oggi disseta le genti di Basilicata, Puglia e di una parte della Campania e della Calabria», spiega il sacerdote.
«Sebbene la nostra sia una piccola regione poco popolata, sono ben 5 milioni le persone che usufruiscono di quest’acqua per bere, lavarsi, pulire le proprie case, irrigare i campi e alimentare il lavoro di tante piccole realtà produttive sparse sul territorio anche limitrofo.
Purtroppo, nelle viscere della nostra terra, si nasconde anche tantissimo petrolio che, da circa mezzo secolo, alimenta l’ingordigia delle multinazionali. Esse si sono installate, inquinando zone che un tempo producevano buoni alimenti e buon vino e contaminando tanta parte della nostra acqua».
A tutta questa devastazione non è mai corrisposto un aumento della qualità di vita dei lucani.«Dovremmo essere una delle regioni più ricche d’Italia – prosegue don Ditolve – visto che qui si registra la massima concentrazione di petrolio del Paese e, invece, degli oltre 30 mila giovani lucani che vanno a studiare in giro per l’Italia, solo 4 mila fanno ritorno a casa.
Per gli altri qui non c’è speranza di futuro, perché non ci sono strategie di sviluppo che prescindano dal petrolio; nessun investimento sulle reali vocazioni di questa terra; nessuna visione che, tenendo conto dei tanti punti di forza e rispettando l’ambiente, sia in grado di creare lavoro per le giovani generazioni».
Nel 2018 il sacerdote organizzò una grande «Marcia per la Vita» regionale (ma tanti partecipanti giunsero anche dal Salento), per risvegliare le coscienze a difesa della propria terra. A sfilare, cittadini, associazioni, movimenti popolari e tanti giovani, quelli che don Giuseppe chiama «sentinelle del futuro», ragazzi che hanno deciso di non emigrare per difendere i diritti alla salute, al lavoro, al patrimonio ambientale.
Il grido d’allarme di don Ditolve è un invito a prendersi cura del Creato a partire dai luoghi in cui si vive. «È soprattutto nei momenti difficili che siamo chiamati ad amare la “casa comune” nella quale viviamo e a unirci per prendercene cura – conclude il parroco di Pisticci Scalo –. Sebbene la realtà attuale della nostra regione sia motivo di grande preoccupazione, dobbiamo credere con forza che ridare anima a una Basilicata oggi asfittica è possibile. Tutti abbiamo una parte di responsabilità, e chi non cammina ritarda il raggiungimento della meta».
«Antonio 20-22» è il progetto che celebra gli otto secoli della vocazione francescana del Santo e del suo primo arrivo in Italia. Dalla Sicilia dove naufragò, Antonio raggiunse poi Assisi e quindi Padova. Seguendo il suo itinerario, continuiamo a risalire l’Italia associando a ciascuna regione attraversata da sant’Antonio un tema che gli fu caro. Per la Basilicata, terza tappa, il tema è: il «Creato».
www.antonio2022.org
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!