Più educazione, meno «screening»
Una mamma mi segnala che nella scuola dell’infanzia di sua figlia è partito uno screening a tappeto per cercare precoci disturbi di apprendimento o neuropsichiatrici di vario tipo. «Prima lo sappiamo e meglio è – le hanno detto –. Così possiamo intervenire con le terapie più efficaci». Da una decina di anni i genitori, oltre alle normali fatiche dell’educazione, sono incalzati dall’incubo che i figli abbiano una qualche forma di disturbo neuropsichiatrico. Le sigle sono tantissime: ADHD (iperattività); disturbo della condotta e dell’attenzione; spettri autistici di varia natura; depressione; disturbo oppositivo-provocatorio… solo per citarne alcuni. Si tratta di disturbi su base emotiva e comportamentale. In genere «falsi positivi» (ossia bambini naturalmente vivaci e immaturi) confusi troppo presto con patologie neurologiche vere e proprie. Ma più che altro sono bambini con deficit educativi che fanno fatica a crescere bene se i loro genitori non organizzano adeguatamente un giusto tempo del sonno; una limitazione di video schermi e tv; uno sviluppo delle autonomie corrispondenti alla loro età con regole condivise tra papà e mamma.
Dico sempre ai genitori che, prima di cercare presunti deficit neuropsichiatrici, occorre chiedersi se i basilari educativi sono rispettati. Troppo facile rivolgersi al mondo medico/sanitario ancor prima di averci provato con una buona e normale educazione. Qualche parlamentare ha recentemente presentato una legge per rendere obbligatori gli screening sui disturbi dell’apprendimento nella scuola italiana. Io, viceversa, mi auguro che i genitori continuino a cercare di essere loro stessi la principale risorsa per i loro figli, senza delegare alle etichette neurodiagnostiche la gestione dei bambini e dei ragazzi.
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