Chi si ricorda del pudore?
Un papà quarantenne mi racconta: «Con mio padre tutto era proibito. Non ci si poteva sfiorare e (non si poteva, ndr) neanche girare per casa in mutande. Era retrogrado e ci stressava inutilmente. Io faccio il contrario, non voglio che i miei figli subiscano degli inutili tabù». Raccolgo tantissime testimonianze come questa in studio e nelle serate di Scuola Genitori. Si vuole fare il contrario di quello che ci è stato fatto, a prescindere dalla giustezza della causa. Succede così che il bagno di casa diventi una specie di campo nudisti dove, a qualsiasi età, si entra e si esce con naturalezza. Succede che siano i figli a segnalare il disagio di queste condivisioni corporee, evidenziando un bisogno di privacy che già i genitori avrebbero dovuto riconoscere come legittimo. È il mito della vicinanza a tutti i costi che rischia di sfociare in una sorta di morbosità, specie quando i figli dopo i 6 anni ottengono di essere ancora puliti in bagno dai genitori.
Questi eccessi di promiscuità rischiano di interferire sul futuro desiderio sessuale e di mortificare l’autostima. Il pudore resta un’impronta educativa importante che non va gestita, come in passato, in modo autoritario e dispotico. Non si tratta di negare il contatto fisico con i figli, ma di rispettare i confini reciproci, specialmente a partire dai 5 anni, quando per i bambini diventa più consapevole l’incombenza del corpo adulto e la necessità di costruire il riconoscimento di quello proprio come confine da rispettare. L’eccesso di confidenza corporea può provocare nei bambini una carenza nel riconoscimento dei limiti e dei vincoli di autorità che si ritrova spesso nel rapporto a scuola con gli insegnanti. Ci sono alunni che sembrano disadattati nel saper vivere le figure adulte come diverse da loro stessi.
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