Abbiate cura di questo giardino
Un grande, e disperato, romanzo del ‘900, uno dei più grandi, si intitola Sotto il vulcano. Dell’autore, Malcolm Lowry, anglocanadese e noto alcolista, come il protagonista del romanzo, dicono i dizionari in modo sintetico ma corretto che «la sua narrativa riflette vagabondaggi, nevrosi, sensi di colpa, ansie religiose». E qualcuno paragonò il suo libro a un nuovo Faust, ma non tentato dalla ricchezza e dalla giovinezza bensì dall’istinto di morte, dall’inconscio desiderio di morte. Che può appartenere anche a tutta una civiltà. Il console britannico in Messico del romanzo è l’autore medesimo, che ha pensato il suo libro come «una Divina Commedia ubriaca»... In apertura, vi si offre una chiave di lettura fondamentale, un cartello in lingua spagnola appeso all’ingresso di un giardino pubblico, che dice «Abbia cura di questo giardino, che è suo», un giardino che appartiene a tutti, alla municipalità ma anche al singolo cittadino. Il giardino è ovviamente il pianeta, «l’aiuola» che ci è stata data in dono e che pervicacemente e criminalmente – chi con maggiori responsabilità e chi con meno – ci accaniamo a distruggere.
Tra i peccati mortali considerati dalle religioni non mi pare sia contemplata l’incuria nei confronti del giardino di cui ci è stato dato di poter godere. Dovrebbe esserlo, ché l’incuria «per il giardino che è nostro» mi sembra davvero il peggior peccato mortale del nostro tempo, per le comunità e per gli individui. Vivo a Roma, sicuramente la capitale più sporca d’Europa e forse, oggi, la più sudicia città italiana – anche se una delle più ricche –. Va da sé che alcuni quartieri sono meglio serviti di altri, ma non c’è una gran differenza tra centro e periferie, tra piazza Vittorio e il Prenestino, mettiamo, e dipende dai servizi pubblici, da un’amministrazione comunale prepotente e inefficiente, dalla decadenza del senso civico degli stessi sindacati, etc. Ma anche dalle abitudini dei cittadini, dovunque.
Quanti si preoccupano di tener pulito il marciapiede davanti alla loro casa, al loro negozio? Va da sé che se gli spazzini non fanno onestamente il lavoro per cui sono stati assunti e vengono retribuiti, se l’immondizia si accumula in tutti i cantoni, il cittadino di poco senso civico si sente autorizzato ad aggiungere sporco allo sporco, e se un miserabile vuol fare i suoi bisogni e non ci sono gabinetti pubblici e nei bar puoi usarne solo se consumi, tanti approfitteranno per soddisfarli degli angoli bui o della notte. Senza contare la massa dei proprietari di cani che li lasciano defecare dove vogliono, non rispettando nessuna legge. Insomma, mi pare che tutto questo dipenda da cause antiche (gli italiani non hanno avuto una rivoluzione borghese e invece della Riforma hanno avuto la Controriforma, dicevano i vecchi saggi) ma anche nuove, dal collettivo imbarbarimento della vita civile, dall’assenza quasi assoluta di educazione civica nelle scuole e altrove.
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