Ponti per comunicare

In queste settimane il Ponte di Tiberio, a Rimini, e quello degli Alpini, a Bassano del Grappa, festeggiano due importanti anniversari...
09 Agosto 2021 | di

Nel nostro mondo e nella nostra società servono dei ponti, «e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire muri. Coloro che costruiscono muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito. Invece quelli che costruiscono ponti andranno avanti». Sono parole di papa Francesco che due anni fa, rientrando dal viaggio apostolico in Marocco, ha anche citato una frase dal romanzo di Ivo Andric, Il ponte sulla Drina: «Il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini possano comunicare». Nella nostra vita attraversiamo tanti ponti, fisici ma anche affettivi e simbolici. E ogni ponte rappresenta la volontà di unire, di «tenere insieme», di creare relazioni.

Tre estati fa siamo stati tutti sconvolti dalla tragedia del ponte Morandi di Genova, che nel crollo ha portato con sé quarantatré vite umane, e allo stesso modo ci ha coinvolto e ci ha emozionato la nascita del ponte San Giorgio, progettato da Renzo Piano e realizzato in meno di due anni, una ricostruzione che ha voluto anche ricucire una ferita. Il ponte è come un eterno archetipo, ci accompagna, ci affascina, ci suggestiona. E allora, in questo 2021 lasciamo «parlare» due grandi e famosi ponti italiani, protagonisti di eventi festosi: l’antico e ammiratissimo ponte di Tiberio di Rimini, che celebra duemila anni dalla sua costruzione, e l’iconico, elegante e inconfondibile ponte di Bassano del Grappa (Vicenza), il ponte degli Alpini, tornato a splendere dopo un lungo, complesso e anche tormentato restauro.

Da Rimini a Bassano

Era il 14 d.C. quando l’imperatore Augusto avviò i lavori per la realizzazione di un maestoso e robusto ponte nella romana Ariminum: l’opera sarebbe stata poi portata a compimento da Tiberio sette anni più tardi, nel 21. Costruito in pietra d’Istria – più di 70 metri di lunghezza con cinque arcate a tutto sesto a collegare le due rive del fiume Marecchia – era un ponte speciale, strategico nella rete di collegamenti instaurata dai Romani: era infatti il punto di partenza della via Emilia (verso Bologna e Piacenza) e della via Popilia (in direzione di Ravenna e Adria) che a Rimini si raccordavano con la via Flaminia verso Roma. Uno snodo fondamentale, insomma, come ci ricorderanno anche le serate di approfondimento del Festival del Mondo Antico, giunto alla 23ª edizione. «Augusto era molto attento alla comunicazione attraverso i simboli – ha rimarcato in un saggio l’architetto Pier Luigi Foschi, già direttore dei Musei comunali di Rimini –. Raggiunta militarmente la pacificazione dell’Impero, abbandonò le vesti del condottiero per assumere quelle di Pontefice Massimo nel 12 a.C., alla morte di Marco Emilio Lepido.

A questo ruolo Augusto teneva particolarmente, perché gli attribuiva la funzione di ”ponte” tra la terra e il cielo, tra gli uomini e la divinità». Il Pontifex Maximus, a capo del collegio dei Pontefici, era un’autorità somma, la massima carica sacerdotale, la figura più vicina al trascendente: non a caso, alla sommità dei dieci archi, sui due lati del ponte, si vedono ancora diversi rilievi con i simboli dei collegi religiosi a cui apparteneva l’imperatore, come il lituus, il bastone ricurvo da cui discende anche il pastorale dei vescovi, o la brocchetta per le abluzioni di purificazione che preparavano le cerimonie sacrificali. Soltanto dalla fine del IV secolo d.C. il titolo di Pontefice Massimo venne passato al vescovo di Roma, quindi al Papa. «Il ponte di Tiberio ha chiaramente un messaggio religioso e imperiale – aggiunge l’architetto Foschi –. Il ponte, metafora del collegamento fisico-geografico e teologico-religioso, non poteva essere una semplice opera di ingegneria ma doveva caricarsi di simboli accessibili e comprensibili da tutti».

E proprio al ponte di Tiberio voleva ispirarsi Andrea Palladio, quando, attorno al 1567, gli chiesero di riprogettare il ponte di Bassano del Grappa: «Avrebbe desiderato realizzare un ponte in pietra, ma il Senato della Serenissima optò per la soluzione in legno, concedendo il finanziamento per la ricostruzione», spiega Guido Beltramini, direttore del Centro internazionale di studi intitolato al grande architetto veneto. Così, nel 1570, Palladio pensò a un ponte coperto, «una strada sopra dell’acqua» concepita come una loggia, un’opera «comodissima e bella»: ancorato alle costruzioni che sorgono sulle due rive del fiume Brenta, il ponte poggia su quattro pile, rinforzate alla base da speroni triangolari, per resistere all’azione dell’acqua. Come ci ricorda una ricca mostra aperta fino al 10 ottobre al Museo Civico di Bassano, nella sua storia il ponte ha visto numerose ricostruzioni che sono state altrettante «risurrezioni».

La forza del fiume e gli urti delle zattere o del legname che veniva fatto scendere lungo il fiume lo danneggiarono più volte: nelle cronache si legge che il 19 agosto 1748 il ponte fu portato via «come una cesta» da un’alluvione, e due anni dopo Bartolomeo Ferracina (che ha legato il suo nome anche all’orologio meccanico della Torre dei Mori a Venezia) fu incaricato della ricostruzione. Poi, nel 1813, i napoleonici incendiarono il ponte per ritardare l’avanzata degli Austriaci, e quindi fu necessaria un’altra ristrutturazione, affidata nel 1821 ad Angelo Casarotti che continuò a tenere come riferimento il modello del Palladio. Durante la Prima guerra mondiale, sul ponte di Bassano passò anche l’artiglieria pesante diretta al fronte. Dopo le devastazioni del secondo conflitto mondiale, le penne nere si incaricarono di ricostruirlo, ancora una volta: alla riapertura del «ponte degli Alpini», il 3 ottobre 1948, partecipò il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi.

E quest’anno, nella stessa data, il ponte verrà nuovamente «inaugurato» dopo un lungo restauro, durato sette anni: la struttura mostrava cedimenti, ed è stato necessario rafforzarla con una trave reticolare in acciaio inox (ovviamente rivestita di legno) a sostegno di ciascuna delle quattro stilate, una soluzione che ha suscitato un dibattito anche molto acceso: anche questo è un segno della «presenza» del ponte nella vita sociale e civile. «Mai nella storia una figura architettonica è stata tanto carica di significati metaforici – fa notare Vincenzo Tiné, soprintendente Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza –. Unire due parti in natura separate è una sfida tecnica ma è anche espressione di una volontà di comunicazione, cucitura, se non propriamente di unione tra aree estranee e talvolta in conflitto che restano comunque ben distinte. Il ponte unisce e divide, è stabile ma anche pericoloso, sacrilego perché contamina terra e acqua, e ne deriva un suo carattere simbolico e perturbante.

Anche in età contemporanea questa speciale percezione sociale dei ponti si ripropone ogniqualvolta la sfida è particolarmente ardita o le aspettative della comunità particolarmente forti». È lo stesso soprintendente Tiné (che fino a due anni fa ha rivestito la stessa carica in Liguria) a mettere a confronto la vicenda del ponte Morandi con quella del ponte di Bassano. A Genova, con il progetto di Renzo Piano, si è scelta la strada di una ricostruzione in una forma completamente nuova e diversa, una renovatio totale accompagnata alla volontà di staccarsi dal passato con una sorta di damnatio memoriae, mentre per il ponte di Bassano ogni intervento di restauro ha rispettato l’immagine e il modello originario del Palladio, «come simbolo di tradizione, resilienza, identità locale». In entrambi i casi, tuttavia, i ponti sembrano come attraversati dalla passione della gente, di chi li conosce e li vive ogni giorno.

Di ponti parlò anche sant’Antonio nei suoi Sermoni: «Venne dunque Cristo, nostro aiuto e pontefice, che fece se stesso ponte dalla sponda della nostra mortalità a quella dell’immortalità, affinché su di esso, come su di un legno posto attraverso, potessimo passare al possesso dei beni futuri». «Ogni ponte ha una dignità e un compito molto serio», ci ha ricordato sul «Messaggero di sant’Antonio» di qualche mese fa fra Danilo Salezze, aggiungendo che «ognuno di noi, in real­tà, è chiamato a essere artigiano dei ponti, con la propria disponibilità e “mettendoci la faccia” come Cristo che fu obbediente fino alla morte di croce. Ogni ponte, materiale o spirituale che sia, non va solo ammirato ma va soprattutto custodito con amore perché è promessa e inizio di beni futuri». E ritroviamo così il pensiero di papa Francesco che già all’inizio del suo pontificato, parlando al Corpo Diplomatico, annunciò un principio fondamentale: «Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti tra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere e abbracciare». Sul ponte di Bassano – recita la famosa canzone popolare – noi ci darem la mano: un vero ponte d’amore difficilmente potrà crollare.


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Data di aggiornamento: 09 Agosto 2021
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