Quant’è dura perdonare

Sant’Antonio, affermano i suoi contemporanei, «riconduceva a pace fraterna i discordi»: con la predicazione, le azioni, i miracoli ha dato testimonianza fattiva della misericordia, come mostrano tante opere d’arte della Basilica.

L’invito a «perdonare le offese» occupa il quinto posto nell’elenco delle sette opere di misericordia spirituale. Le altre, con disarmante laconicità, invitano a consigliare i dubbiosi; insegnare agli ignoranti; ammonire i peccatori; consolare gli afflitti; sopportare pazientemente le persone moleste e, infine, pregare Dio per i vivi e per i morti.   In una classifica che considerasse la difficoltà ad accogliere gli inviti, «perdonare le offese» occuperebbe il primo posto. Ricevere un’offesa, subire uno sgarbo o un’angheria, brucia. Eccome. Quasi mai l’immediata reazione è il perdono, ma piuttosto il legarsela al dito e meditare il modo migliore di rendere la pariglia. Da qui, rapporti personali interrotti, pervicaci discordie che, se coinvolgono gruppi, sfociano in interminabili faide. Il rancore irrisolto è come una cellula cancerogena che si riproduce per metastasi, finendo con il rovinare la pace e l’armonia tra le persone e le società.   Gesù sapeva bene come vanno le cose. Per questo nel Vangelo l’invito a perdonare debiti e offese è costante, e suscita perplessità tra gli apostoli. A Pietro, che gli chiede quante volte si debba perdonare un fratello che offende – sette volte? –, Gesù risponde: «Non dico sette ma settanta volte sette», cioè sempre. Lui stesso ha dato l’esempio. Inchiodato alla croce, perdona i suoi crocifissori e invoca il Padre a fare altrettanto, «perché non sanno quello che fanno».   Un cosmico atto di misericordia, dopo il quale il suo viso, contratto dal dolore, si distende in quella serenità che Donatello ha impresso nel volto del suo mirabile Crocifisso, creato nel 1444, che ora domina l’altare maggiore della Basilica. Potremmo prendere quel volto rasserenato dal perdono donato come simbolo dell’anno giubilare, perché è dal cuore di Lui trafitto che sgorga il fiume di misericordia che lava le colpe di ogni uomo in ogni tempo.  Antonio apostolo di misericordia Anche il Santo in vita s’è trovato più volte a sollecitare il perdono e la misericordia alle fazioni che in Padova, come in altre città, affidavano alle armi e al sangue il compito di «lavare» offese e torti subiti, travolti da una spirale di odio che solo il perdono poteva spezzare. Di questi interventi – documentati dalla sua prima biografia in cui si legge: «Riconduceva a pace fraterna i discordi» (Assidua 13,11) – non abbiamo raffigurazioni pittoriche. Ne abbiamo, invece, di altri suoi interventi in ambiti più ristretti, come quello familiare. Ricordiamo i capolavori di Tiziano Vecellio, realizzati nel 1511 sulle pareti della Sala priorale della Scuola del Santo, attigua alla Basilica.   Con la freschezza del tratto e la magia dei colori, il pittore cadorino inscena in un solitario, sconvolto paesaggio, il dramma di un marito che, folle di gelosia, credendosi tradito, non prende neppure in considerazione il perdono e pugnala l’incolpevole consorte, riducendola in fin di vita. Pentito della bestialità commessa, corre da sant’Antonio, presente nei paraggi: gli si inginocchia davanti (questa scena, nell’affresco, è ripresa su uno sfondo schiarito), chiede perdono e impetra il suo aiuto per la moglie morente. Il Santo, prima unge con l’olio del perdono e della misericordia il cuore affranto del marito pentito e poi, assieme a lui, si reca sul luogo del misfatto per sottrarre alla morte la giovane donna, e riportare così pace e serenità nella tribolata coppia.   Sa di perdono e di misericordia anche l’altro episodio, sempre narrato da Tiziano nella Scoletta. Quello del giovane Leonardo che, confessandosi, accusa anche il peccato di aver colpito con un calcio, in uno scatto d’ira, la propria madre. Se ne pente e chiede perdono. Il Santo lo assolve, ammonendolo: «Il piede che colpisce la madre o il padre, meriterebbe di essere tagliato all’istante». Il giovane, perdonato da Dio e dalla stessa madre, ma incapace di perdonare se stesso, si punisce recidendo con un’accetta il piede colpevole, che il Santo poi, richiamato dai genitori affranti, prodigiosamente riat­tacca. Il racconto si svolge in un ondulato e gioioso paesaggio veneto che riecheggia Giorgione. Gli stessi episodi sono narrati anche nei bassorilievi marmorei incastonati sulle pareti della Tomba del Santo, precisamente: il marito geloso che pugnala la moglie, opera rea­lizzata tra il 1524 e il 1529 da Giovanni Rubino e da Silvio Corsin, è il secondo, da sinistra; quello del piede riattaccato, del 1225, firmato da Tullio Lombardo, è il settimo. All’episodio del piede riattaccato anche Donatello ha dedicato un bassorilievo in bronzo di incomparabile irruenza drammatica, ora incastonato ai lati dell’altare maggiore.  Chi coltiva il rancore Il perdono non concesso e il rancore coltivato hanno, invece, il volto truce, riflesso del cuore tarlato dall’odio e dalla vendetta, di Ezzelino da Romano, il tiranno che non perdona, raffigurato da Pietro Annigoni nel 1982 nella Cappella delle benedizioni, mentre incontra sant’Antonio.   Il Santo era andato a supplicarlo di avere misericordia per i figli di alcune nobili famiglie padovane che teneva prigionieri in una delle sue terrificanti segrete. Ma il perdono e la liberazione sono atti che il duro cuore e le strategie politiche del tiranno neppure considerano. Infatti, il Santo se ne va dall’incontro deluso e affranto. Braccia tese e volto accogliente ha, infine, il padre del figliol prodigo che, ritornato a casa dopo aver dissipato beni e il suo stesso cuore in dissolute avventure, gli chiede perdono e una nuova possibilità. Ovviamente concessi, in un tripudio di gioia e di festa, perché questo suo figlio «era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,32). 

L’affresco di Pietro Annigoni (1987) domina significativamente la parete centrale della penitenzieria, luogo ideale del perdono e della misericordia, richiesti e concessi, come inizio di un nuovo percorso di vita nel segno dell’amore e della riconciliazione.  

 

ZOOMGrazie dell’offesa!

  Non è un errore di stampa il titolo, ma la sintesi del pensiero – riguardo al perdonare le offese – di sant’Antonio, che ci vuole paradossalmente riconoscenti verso chi ci offende! Seguiamo il Santo nel suo commento all’episodio di Davide, in fuga dal figlio Assalonne che vuole sottrargli il trono. Ebbene, a chi gli propone l’eliminazione di uno del seguito, che pesantemente lo offende, con cuore nobile e indulgente il re risponde: «Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: “Maledici Davide!”. E chi potrà dire: “Perché fai così?” (…) Lasciatelo maledire, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi» (cf. 2Sam 16,5-14).   Scrive sant’Antonio, rifacendosi al commento di san Gregorio Magno: «Chi non può o non si sente capace di conservare la pazienza quando è fatto oggetto di parole ingiuriose, richiami alla mente questo episodio di Davide (…) perché egli, mentre fuggiva dal figlio che era insorto contro di lui, aveva richiamato alla mente il peccato che aveva commesso con Betsabea: pensò quindi che le parole ingiuriose non erano tanto insulti, quanto piuttosto rimedi, con i quali avrebbe potuto purificarsi e ottenere misericordia per se stesso». Aggiunge quindi il Santo: «Anche noi, infatti, sopporteremo volentieri le ingiurie che ci vengono fatte, se nel segreto della mente riandiamo ai peccati commessi. Certamente ci sembrerà leggera l’offesa che ci colpisce, se guardiamo al castigo molto più severo che avremmo meritato. Di conseguenza di fronte alle ingiurie si deve piuttosto ringraziare che adirarsi: per mezzo di esse, al giudizio di Dio, viene evitata una pena più grave» (Dom. IV dopo Pent.).   Sempre sorprendente il Dottore evangelico, che dalla Parola di Dio sa trarre tesori di sapienza che stupiscono, restandone egli stesso conquistato: «O profondità della divina clemenza, ben oltre il fondo dell’umana intelligenza, perché la sua misericordia è senza numero. Sta scritto nel libro della Sapienza: “Dio, avendo tutto disposto con misura, calcolo e peso” (Sap 11,21), non volle rinchiudere la sua misericordia entro queste leggi, entro questi termini, anzi è la sua misericordia che tutto racchiude e tutto abbraccia. La sua misericordia è dovunque, anche nell’inferno, perché neppure il dannato viene punito nella misura che la sua colpa esigerebbe. “Della misericordia del Signore è piena la terra” (Sal 119,64). O Signore, se tu mi privi della tua misericordia, io sprofondo nell’eterna miseria. La tua misericordia è la colonna che sostiene il cielo e la terra, e se tu la togli, tutto cade in rovina» (Dom. XVI dopo Pent.).   L’ultima definizione della misericordia divina come colonna evoca il Crocifisso, sopra ricordato, di Donatello e le bellissime Crocifissioni di Altichiero da Zevio nella cappella di San Giacomo e nell’oratorio di San Giorgio, nelle quali, dalla croce che si eleva alta sulla scena sottostante, il Redentore appare nella sua composta maestà come «la colonna che sostiene il cielo e la terra». Dalla croce, infatti, pronunciò quelle parole che siglarono definitivamente la nuova ed eterna alleanza tra Dio e l’umanità: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).    

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017
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