Riscoprirsi figli
Don Andrea Conocchia, il parroco della Beata Vergine Maria Immacolata di Torvajanica (RM) che da un paio d’anni ha avviato una forma di pastorale specifica per le persone transgender della sua parrocchia, che, per sopravvivere, sono costrette a prostituirsi, ha uno sguardo «ampio». Lo sguardo ampio tipico degli uomini e delle donne di Dio che «vedono» per davvero, che si accorgono del dolore degli altri anche quando questi cercano di tenerlo nascosto. È accaduto quando ha notato la ritrosia della donna transgender che era venuta a chiedergli qualcosa da mangiare (vedi articolo sul Msa di ottobre 2024), ma accade anche oggi, quando cerca di restituire in vari modi dignità a questi esseri umani che per la loro vita non si sentono a volte nemmeno più tali. Lo fa accompagnandoli, insieme con suor Geneviève Jeanningros vecchia amica del Pontefice, alle udienze generali del Papa, facendoli sentire pastoralmente accolti da una Chiesa nella quale pensavano non ci fosse spazio per loro.
Lo fa, da qualche settimana, pure con uno «sportello» che, grazie al sostegno della parrocchia, della diocesi e dell’ambasciata americana a Roma, è riuscito a far aprire in parrocchia per due mattine alla settimana, garantendo così assistenza medica, psicologica e giuridica a queste donne prive di ogni diritto e pure della possibilità di farsi curare. Ma lo fa, soprattutto, cercando di diffondere sempre più il volto accogliente della Chiesa, ben oltre i confini della sua «casa parrocchiale».
«È accaduto tutto “per caso” – racconta –, ancora una volta. Quando alcune persone appartenenti a comunità Lgbtq+ d’oltreoceano hanno visto le foto con le mie parrocchiane transgender alle udienze generali del Papa, mi hanno invitato a un loro grande convegno negli Stati Uniti (la LGBTQ+ Ministry Outreach Conference, organizzata da Outreach, associazione cattolica di persone Lgbtq+ cattoliche legata ad America Media, una realtà dei gesuiti). Ci sono andato un po’ timoroso, anche perché non parlo una parola d’inglese, oltre a non capire che cosa mai potessero volere da un povero parroco di periferia come me. Ma credevo fosse giusto ascoltarle, e così sono andato. La Provvidenza mi ha poi fatto incontrare a quel convegno un giovane italiano che vive negli States, che mi ha fatto da traduttore e grazie al quale tutto è stato più semplice». In sintesi, a don Andrea queste persone chiedevano di aiutarle a incontrare il Papa a una qualche udienza generale, così come accade alle sue parrocchiane, per sentire, forse per la prima volta nella loro vita, che nella grande casa di Dio e degli uomini e delle donne amati da Lui, c’è posto anche per loro.
«E così, di nuovo, mi sono trovato, mio malgrado, a fungere da piccolo tramite tra tante persone che si sentono rifiutate dagli esseri umani, ma non lo sono né da Dio né dalla Chiesa, e la Chiesa stessa. Perché tutti, proprio tutti, siamo figli amati dal Padre» conclude don Andrea.
Lo sono anche, per esempio, le quattro donne transgender che ha accompagnato lo scorso 18 settembre, sempre con suor Geneviève, all’udienza generale del Papa. Quattro donne (Martha Marvel, Maureen Rasmussen, Christine Zuba e Lynn Discenza) che, dopo decenni di vita travagliata vissuta nel dolore e nella vergogna, trascorsa tra depressioni o ottundimento nel lavoro «per non pensare», e dopo vari consulti medici e psicologici e il confronto costante con sacerdoti, hanno compiuto un processo di transizione dal maschile al femminile.
Ho conosciuto queste donne nella parrocchia di don Andrea. Ho pranzato con loro e con loro ho trascorso qualche ora. Le ho viste farsi il segno della croce prima di pranzare, le ho viste chiedere a don Andrea di guidare la preghiera del rosario che ogni giorno recitano. Le ho viste emozionate per l’imminente possibilità di avvicinarsi al Pontefice. Le ho viste, soprattutto, incredule che, dopo tanti rifiuti, tanto dolore, tanta vergogna, tanti sensi di colpa, qualcuno oggi possa dire che anche loro sono Chiesa, parte di quel popolo in cammino che è fatto di tutti noi, pieni di contraddizioni, di limiti, di mancanze, di peccati, ma anche di risorse, di amore e di cose buone da donare.
Prima di incontrare il Papa le quattro donne (tutte over 60, due ingegnere, una imprenditrice e una ex responsabile amministrativa di tre grandi diocesi americane) hanno voluto scrivergli una lettera, nella quale gli hanno raccontato la loro vita travagliata, confidando dolori e speranze. Hanno raccontato di aver fatto coming out con famiglie e amici come donne transgender solo a sessant’anni, di essere sempre state cattoliche praticanti e di essere ora attive nella pastorale LGBTQ+ in Wisconsin, Maryland, New Jersey e Connecticut.
Il 18 settembre scorso le quattro donne hanno così potuto stringere la mano a papa Francesco, dopo essersi presentate come «quattro donne transgender che hanno sempre vissuto e lavorato nella Chiesa cattolica», sentendosi dire dal Pontefice per ben due volte: «Pregate per me». Perché tutti possiamo chiamare Dio, Padre e sentirci figli bisognosi ma amati da Lui.