Sei consigli per trovare lavoro
«In Italia non c’è lavoro», «la laurea è carta straccia», «l’unica via di fuga è l’emigrazione». Quanto di vero c’è in queste frasi, ormai universalmente accettate? In materia di lavoro i dati sono contraddittori. Da un lato siamo il terzo Paese Europeo (su 15) per tasso di disoccupazione e l’ottavo per numero di emigrati nel mondo. Dall’altro il Rapporto Excelsior 2018 (Unioncamere, Anpal) rivela che il 26 per cento delle aziende italiane non riesce a trovare i lavoratori che cerca, mentre a livello europeo già si pronostica che, nel prossimo decennio, mancheranno all’appello 17,5 milioni di lavoratori.
Visto che a quanto pare il lavoro c’è, quali consigli per entrare e possibilmente rimanere nel mondo del lavoro? Ecco i sei punti che Marino Lizza, esperto di economia del lavoro e fondatore del portale di orientamento formazione e lavoro WeCanJob, considera fondamentali.
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Nella scelta degli studi meglio il cuore che il cervello. Solo chi ama il proprio lavoro è davvero bravo; chi lo fa unicamente per mestiere non sarà mai all’altezza, ma il mercato del lavoro è implacabile con le mezze cartucce.
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Meglio la laurea del diploma. Secondo Almalaurea, il tasso di disoccupazione si abbassa con il crescere dei titoli di studio. Nel 2018, nella fascia tra i 15 e i 74 anni era disoccupato il 5,9 per cento dei laureati, il 10,1 per cento dei diplomati e il 14,2 per cento di chi ha la licenza media. Non solo, chi ha un titolo più alto guadagna di più e si ricolloca più facilmente sul mercato, perché è in grado di reagire meglio ai cambiamenti.
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È preferibile entrare o rientrare nel mondo del lavoro al più presto, anche a costo di svolgere un compito non appropriato al percorso di studi. L’esperienza dimostra che è più facile cercare un lavoro avendo un lavoro: si affinano le competenze relazionali, ci si fa conoscere e, soprattutto, dall’interno si può meglio capire «da che parte sta girando il vento».
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Occorre una strategia, non è sufficiente inondare il mondo di curriculum. È, invece, importante Individuare quale pezzo manca nella propria formazione o nelle esperienze passate per rendere il curriculum più spendibile. Una lingua? Una certificazione? Una competenza? È fondamentale, insomma, sapere che esiste un ultimo pezzetto, l’ultimo miglio, che è poca fatica rispetto all’intero percorso di studio o di lavoro, ma che può fare la differenza.
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Investire nelle relazioni. Non si tratta di cercarsi un «padrino» e farsi raccomandare, ma di costruirsi la cerchia delle relazioni che ti conosce e ti apprezza per quello che sei o che sai fare. Negli Stati Uniti questa è una delle prassi. Quando, per esempio, cercano un manager, chiedono al candidato anche di mettere a disposizione dell’azienda tutta la sua rete di relazioni. Nel nostro piccolo aiuta molto frequentare ambienti come enti di categoria, convegni, network professionali e persino le associazioni degli ex alunni.
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Le competenze più richieste dall’attuale mercato. Le lingue, innanzitutto, e non solo l’inglese che dovrebbe essere la lingua base. Le competenze informatiche, a partire dalla conoscenza professionale dei software più comuni: Word, Excel, Access, ma anche una buona capacità di navigazione in internet. Poi le cosiddette competenze trasversali, la più importante delle quali è la capacità di lavorare in team. Seguono le competenze relazionali, che non consistono nell’abilità di fare conversazione, ma in quella di capire i bisogni dell’interlocutore. Poi ce n’è una basilare, che non cambierà mai col variare della tecnologia e dei tempi: l’affidabilità. Poterla dimostrare nei fatti è un grande vantaggio competitivo.
Per leggere il servizio nella versione integrale prova la versione digitale del Messaggero di sant’Antonio del mese di settembre 2019.