Sopravvivere senza gli USA
Chiunque passi di mattina per via María Adelina Flores, nel centro di San Cristóbal de las Casas, nello stato messicano del Chiapas, potrebbe lasciarsi sedurre dalla fragranza che proviene dal numero 16: sede dell’organizzazione no profit Chantiik Taj Tajinkutik. I giovani del laboratorio di panificazione Los Sueños stanno già sfornando le loro creazioni: brioche alla fragola, ciambelle, fagottini di sfoglia ripieni di prosciutto e formaggio. Indaffarati attorno a un grande bancone in acciaio, imparano non solo l’arte dell’impasto, ma anche l’arte del vivere insieme. Oltre a formare giovani provenienti da famiglie a basso reddito per aiutarli a trovare un lavoro dignitoso, questo è uno spazio che punta a costruire un senso di appartenenza e relazioni di fiducia.
Attualmente, Los Sueños continua a sfornare brioche, ma nei primi mesi del 2025 sembrava avere i giorni contati. Lo smantellamento del gigante della cooperazione umanitaria, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), ha di fatto messo a repentaglio la continuità di questo e altri progetti che Chantiik Taj Tajinkutik rivolge a una sessantina di bambini e adolescenti provenienti dalle zone più vulnerabili di San Cristóbal de las Casas: colazioni gratuite, supporto psicologico e giuridico, laboratori ludici e di alfabetizzazione. Annunciata a inizio 2025 dal nuovo governo Trump – e formalizzata il 1° luglio scorso –, la chiusura dell’USAID comporterà un aumento della disuguaglianza e dell’instabilità in tutto il mondo.
Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista medica «Lancet», questo provvedimento potrebbe causare entro il 2030 la morte di oltre 14 milioni di persone che necessitano di interventi specifici come vaccini, cure contro l’Hiv, trattamenti per la malnutrizione acuta. Anche Chantiik, nel suo piccolo, ha accusato il colpo. «Quando abbiamo ricevuto la notizia, sinceramente ho avuto paura», assicura Pascual Emilio Ramos Gordillo, direttore di Chantiik Taj Tajinkutik, il cui nome nasce dalla combinazione delle lingue indigene tzeltal e tzotzil e significa «impariamo giocando». Sul monitor del computer, la comunicazione del ritiro dei fondi risplendeva asettica, ma lui poteva facilmente visualizzarne le conseguenze concrete: licenziamenti, riduzione o addirittura eliminazione dei progetti. Chantiik aveva infatti pianificato le attività del 2025 confidando completamente nei fondi ricevuti dall’USAID. «Eravamo così sicuri del finanziamento – spiega Ramos Gordillo – che abbiamo deciso di non disturbare altre persone per chiedere donazioni e di lasciare che fossero altre organizzazioni a candidarsi ai bandi». La reazione del suo team lo ha riempito di speranza. «Nessuno ha detto: “Me ne vado”», ricorda. Chantiik è nata sedici anni fa in un territorio complesso.
Oltre a essere lo Stato messicano con la più alta percentuale di popolazione in condizioni di povertà lavorativa, il Chiapas ha registrato recentemente un aumento della violenza a causa degli scontri di gruppi della criminalità organizzata che si contendono il controllo del traffico di migranti e delle estorsioni. In questo contesto, l’Ong mira a fornire a bambini e bambine che provengono da comunità indigene e a giovani con disabilità gli strumenti necessari per difendere i propri diritti e farsi strada in una società in cui il razzismo e il classismo sono ancora molto sentiti. Buona parte di loro lavora come venditori ambulanti nel centro storico della città, offrendo prodotti di artigianato, bigiotteria, dolciumi.
Juan Carlos Francisco López è uno dei tanti giovani che ormai sono di casa a Chantiik. Ci è arrivato quando era un bimbo timido di 11 anni e qui ha potuto accedere gratuitamente a lezioni di informatica, arte, inglese. «Adesso sto simpatico a tutti. O almeno credo!», scherza il ragazzo, che ora ha 16 anni e spera in futuro di aprire un ristorante. Trascorre le sue giornate tra il laboratorio di panificazione Los Sueños e gli studi superiori nel pomeriggio. Nei fine settimana continua ad aiutare sua madre a vendere ghiaccioli nelle vie più affollate del centro, come faceva da bambino. Ora che suo figlio sta attraversando le tempeste dell’adolescenza, la relazione con Chantiik è più vitale che mai per Ilaria López Gómez. «Lì mi sono salvata quando Juan Carlos è diventato più ribelle», racconta seduta all’ombra di un pino che svetta sulla piazza della Pace, davanti alla cattedrale di San Cristóbal. Quando parla del team di Chantiik è come se descrivesse un’amica intima con cui ci si può confidare e che interviene quando, da sole, ci sentiamo impotenti. «Ci sono cose di lui che non riesco a capire, ma loro mi sostengono. Sanno come parlargli e sono riusciti a convincerlo a non andarsene da Chantiik quando stava per scoraggiarsi».
La volontà di preservare questa rete di connessioni multiple ha motivato i membri di Chantiik a reagire al ritiro delle risorse dell’USAID. Facendo appello a piccoli donatori, sono riusciti a raccogliere i fondi necessari per sostenere almeno una parte dei programmi. «Siamo convinti che continueremo a esserci ancora per molto tempo, ma con nuove strategie – afferma Marisela López Pérez, coordinatrice amministrativa della ONG –. Se i nostri donatori più importanti erano degli Stati Uniti, ora dobbiamo concentrarci sul piano nazionale e sensibilizzare le persone sull’esistenza di questo spazio e sul perché è importante». Chantiik è andata anche oltre. Insieme ad altre Ong messicane, ha scritto un’e-mail indirizzata a USAID chiedendo la restituzione dei fondi garantiti prima che l’agenzia venisse smantellata. Un gesto simbolico che vuole sottolineare che dall’altra parte della mano che offre la moneta non ci sono anonimi ricettacoli bancari, ma persone che collaborano per creare comunità. «È come quando sei dipendente da qualcuno: Chantiik era così con USAID, ci tenevano in una bolla e credevamo che senza di loro non saremmo stati in grado di fare nulla – riflette Ramos Gordillo –. È stata dura, lo è ancora, ma ora possiamo finalmente tirare un sospiro di sollievo».
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