Non si uccidono i bambini
Lo scorso 14 agosto, il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, durante la celebrazione del Memoriale di Marzabotto, che si tiene ogni anno per ricordare l’eccidio di 770 persone da parte dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale, ha realizzato un evento straordinario di grande risonanza e significatività: la lettura di tutti i nomi dei 12.227 bambini palestinesi e israeliani uccisi dal 7 ottobre 2023. Il numero nel frattempo è aumentato, ma trovo il gesto estremamente importante. Segna infatti l’ingresso di una nuova tecnica tra quelle che storicamente appartengono alla nonviolenza e ai movimenti che a essa si ispirano.
Da oltre due anni, assistiamo sconvolti e sconcertati a guerre dove l’uccisione dei bambini non è un incidente tra tanti, un evento imprevisto all’interno di una belligeranza sempre più intensa, ma una modalità necessaria per terrorizzare il presunto nemico e creargli un senso di smarrimento e di frustrazione. La vittima perfetta, non dichiarata ovviamente, della guerra sono proprio i bambini. La comunità internazionale non sembra pronta a reagire a questa crudeltà. Ci si stupisce che proprio i più piccoli siano il target principale? Se la guerra è crudeltà, se la guerra è l’apice della violenza perché punta a risolvere i problemi eliminando la fonte umana dei problemi stessi, che cosa c’è di meglio, in questa logica perversa, che sterminare il nemico nella sua configurazione di futuro, ossia nei suoi bambini e bambine? Qualcuno lo chiama genocidio. Di certo, lo ha detto più volte anche il Papa, quando appare chiara l’intenzione di colpire i bambini diventa difficile pensare ad altri termini. Allora lo sdegno non basta più. Occorre, come nell’atto del cardinale Zuppi, alzare il livello di resistenza, creare iniziative che possano far sentire l’indignazione profonda, totale, viscerale dell’opinione pubblica mondiale verso queste forme di negazione della nostra natura umana, del nostro sentirci parte di un’unica specie, piuttosto che essere orde che si combattono tutti contro tutti.
Il ritorno della crudeltà ostentata senza vergogna e senza scrupoli, anche dal punto di vista educativo, è ciò che mi preoccupa di più, perché si annida anche nei ragazzini coinvolti nelle risse, che girano con il coltello o cercano di fare del male ai loro compagni. Anzitutto bisogna resistere a questo immaginario che negli ultimi anni, specialmente a partire dall’aggressione in Ucraina, si sta addensando sulle nostre coscienze con il rischio di renderle permeabili a valori di negazione reciproca e di crudeltà. Non si tratta di fare «spiegoni» sulla bontà dei cuori o sulla necessità dell’armonia reciproca, quanto di aiutare le nuove generazioni a cogliere come la violenza e la guerra costituiscano una scelta non solo inutile ma devastante e che saper gestire le proprie contrarietà, comunicando e ascoltando sempre i punti di vista reciproci, è la strada che ci permette di restare umani.
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