Migranti, missionari di speranza
La rappresentazione dei movimenti migratori nel mondo, con un reticolo di frecce che si intersecano a riempire tutte le direttrici, dal Sud al Nord, dall’Est all’Ovest, è una visione plastica che mostra l’ampiezza e la complessità del fenomeno migratorio. Da una parte c’è l’evidenza di un mondo in movimento, e quello delle migrazioni è un vero e proprio mondo, considerata l’ampiezza numerica delle persone coinvolte: circa 200 milioni. Dall’altra, si intuisce che le categorie utilizzate per sezionare tale numero di persone (migrante economico, profugo, richiedente asilo, vittima di tratta, migrante irregolare, rifugiato, ecc.) sono poco efficaci nell’interpretare percorsi migratori multiformi e complessi, all’interno dei quali si intrecciano progettualità, percorsi legali, domande di riconoscimento, situazioni in violazione dell’integrità dei confini e del controllo dei flussi migratori, negazione di diritti, esperienze di sfruttamento ed emarginazione.
Si giunge all’assunto che anche per le migrazioni non è opportuno adottare soluzioni semplici o semplicistiche per cercare di risolvere fatti complessi. Cosicché le prese di posizione che si potrebbero definire manichee appaiono fuori luogo, perché separare nettamente il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il bianco dal nero, è contestato dalla realtà dei fatti, che mostra una commistione di situazioni tali da rendere ingenuo questo punto di vista. Sarà invece corretto tenere a mente la prospettiva da cui si guarda, il «geometrale conoscitivo» secondo l’insegnamento del filosofo Merleau-Ponty, così esemplificato: la percezione è naturalmente limitata dalla prospettiva in cui ciascuno si pone, per cui nel momento in cui si guarda, ad esempio, la facciata di una casa si indovina quali siano le sue dimensioni e anche la posizione delle mura che non si è in grado di vedere. Si deduce che nei fatti umani, e nel nostro caso nei fatti migratori, nulla è totalmente positivo e nulla è totalmente negativo. Allo stesso tempo, le acquisizioni di valore accumulate nella storia possono aiutare a superare le limitatezze prospettiche ed euristiche (relative cioè a un’ipotesi di lavoro, ndr).
Il valore dei migranti
La più recente occasione per guardare alle migrazioni da una prospettiva positiva viene dal Messaggio di Papa Leone XIV, scritto in occasione della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato (4-5 ottobre 2025), positività espressa fin dal titolo Migranti, missionari di speranza. Potrebbe sembrare un adattamento forzoso al Giubileo della speranza 2025, è invece una visione supportata da valide ragioni. La prima delle quali è data da «una chiara analogia con l’esperienza del popolo di Israele errante nel deserto, il quale affronta ogni pericolo fiducioso nella protezione del Signore». La seconda, che non manca di essere ricordata anche in questo 111° Messaggio, è che «i migranti e i rifugiati ricordano alla Chiesa la sua dimensione pellegrina», qui in riferimento alla civitas peregrina di sant’Agostino, ma con origine in san Paolo, in cui i cristiani sono detti parroicoi, pellegrini che non hanno qui una stabile dimora, e più tardi nella Lettera a Diogneto, dove lo stesso concetto viene sviluppato nelle sue conseguenze esistenziali. Inoltre, «migranti e rifugiati possono diventare oggi missionari di speranza nei Paesi che li accolgono, portando avanti percorsi di fede nuovi (…)» e «con il loro entusiasmo spirituale possono contribuire a rivitalizzare comunità ecclesiali irrigidite e appesantite, in cui avanza minacciosamente il deserto spirituale. La loro presenza va allora riconosciuta ed apprezzata come una vera benedizione divina».
Di quest’ultima espressione sembrano farne uso anche demografi ed economisti, se non fosse per la loro posizione che non necessita il riferimento a Dio. Già infatti da lungo tempo queste due categorie di persone superano in considerazioni positive i più positivi osservatori dei fatti migratori: i demografi, sottolineando il contributo di nascite e l’immissione di soggetti giovani in società occidentali ormai asfittiche; gli economisti, per l’analogo motivo, con specifico riferimento alla forza lavoro immigrata che interviene a riempire gli spazi lasciati vuoti, garantendo anche il sostentamento alle pensioni.
Almeno altri due aspetti positivi vanno sottolineati: il fattore multietnico e il fattore multireligioso. La multietnicità è l’espressione più completa della globalizzazione, e si esprime con la varietà di lingue, tradizioni, musiche, sapori e colori, che interagiscono in un unico territorio. La storia, che in questo caso è maestra di vita, insegna che ogni contesto culturale, sia esso locale o nazionale, si è sviluppato nell’incontro con altre culture. Diversamente è retrocesso. La multireligiosità, con l’impegno al dialogo interreligioso, è una componente altrettanto positiva non solo per il sano esercizio del dialogo, ma per le stesse ricadute sociali nei decisivi rapporti interpersonali, in quanto il messaggio centrale di tutte le religioni è condensato nella cosiddetta «regola d’oro», che al negativo raccomanda di «non fare agli altri quello che non vuoi essere fatto a te stesso», e che al positivo incoraggia ad «amare il prossimo come te stesso».
I pronunciamenti valoriali, condensati in documenti che segnano positivamente la storia dei popoli e delle nazioni, sono sopravvenuti per rimediare alle storture e ricondurre i rapporti del genere umano nell’alveo del rispetto, della promozione e della valorizzazione. È stato così per la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale, la Costituzione della Repubblica italiana (1948) dopo il regime fascista, la Convenzione di Ginevra (1949) per la protezione dei Rifugiati, lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (1998) per i crimini di genocidio e contro l’umanità. Nell’ambito ecclesiale l’Exul familia (1952), «magna charta» della pastorale migratoria, interveniva al seguito di un periodo caratterizzato da massici flussi migratori e da un numero elevato di sfollati a causa del conflitto mondiale. L’Erga migrantes caritas Christi (2004), dopo che l’innalzamento di muri fisici e barriere mentali, assieme agli squilibri sociali, economici e demografici, iniziavano a causare numerosi disagi e sofferenze per i migranti.
In tal maniera, anche al mondo delle migrazioni è stata applicata l’etica sociale, per cui non si tratta solo di valutare se le politiche migratorie siano efficaci o meno, sulla base degli obiettivi che si sono date, ma si tratta di valutare se siano giuste o sbagliate da una prospettiva di valori etici. Da questo punto di vista, è tanto più etica quella politica che assicura maggior rispetto per i diritti dei migranti, perché il criterio valutativo avrà come riferimento la persona e la fruizione dei diritti, che in quanto tali costituiscono un bagaglio indisgiungibile, un unico blocco che non può essere eroso. Se così non fosse, a essere erosi sarebbero anche i diritti di chi li pensa garantiti per sé.
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