Giovani, paradiso dei vecchi
Ogni generazione ha le sue nuove sfide collettive, e in genere ha anche le risorse per affrontarle. Una nostra sfida molto importante, sebbene non unica (si pensi alle guerre o alla crisi ambientale), riguarda il rapporto tra anziani e giovani. Una sfida epocale che assume varie forme. Quella più evidente e che ci preoccupa molto ha a che fare con la sostenibilità del sistema pensionistico e della sanità pubblica, che viene però affrontata senza collocarla all’interno di un quadro più ampio, che tocca molte dimensioni.
La prima è una nuova indigenza del desiderio di maternità nelle donne, che dovranno ritrovare il significato e il senso di essere madri, perché oggi che la maternità finalmente non è più destino ma scelta, non si sceglie di mettere al mondo un figlio senza una forte dimensione di dono, di gratuità e di sacrificio (parola uscita dal nostro vocabolario). Senza questa nuova cultura della maternità, aumenteranno solo i tristi passeggini con dentro cani e gatti, e diminuirà la gioia di vivere di tutti, delle donne in primis.
Un’altra sfida riguarda l’urgenza di reimparare a invecchiare e a morire. Le civiltà passate, fino a quella dei miei genitori, sapevano morire perché sapevano vivere, e perché avevano la fede. La fede è sempre stata anche una grande risorsa per poter sperare un buon incontro con l’angelo della morte. Nel giro di un paio di generazioni abbiamo completamente dimenticato il mestiere del vivere e del morire, e se non ne troviamo presto un altro, la nuova pandemia sarà la depressione. Ma, nel frattempo, per noi che non abbiamo più la cultura di ieri e non ne abbiamo ancora generata una nuova, l’invecchiare sta diventando un’esperienza sempre più difficile, una scalata molto faticosa per la quale non siamo equipaggiati, che finiamo per affrontare in canottiera e infradito.
Questa estate ho trascorso con mia madre e mia zia alcuni giorni al mare. Una sera, mentre cenavamo, è entrata una comitiva di giovani ragazze. Mamma e zia le hanno guardate e, insieme, hanno esclamato: «Che belle, che bella la gioventù!». Uno sguardo e parole che mi hanno colpito molto. Una vita spesa per far sì che i loro bambini e i loro giovani diventassero adulti ha generato in esse una tipica virtù, che potremmo chiamare «anti-invidia», che è quella preziosa capacità di trovare una propria vera gioia nell’osservare e contemplare la giovinezza degli altri, e non solo quella dei propri figli e nipoti. È questa una risorsa stupenda per vivere e invecchiare bene. È la virtù opposta a quella di Mazzarò che, nella novella La roba, aveva speso tutta la sua vita sempre e solo per accumulare la «roba». Quando gli dicono che si sta avvicinando per lui la morte, prende un bastone e colpisce un ragazzo, «per invidia», dice Giovanni Verga. Nelle culture usuraie della roba, i vecchi vedono nei giovani il proprio inferno, perché quella giovinezza dice loro solo invidia, rimpianto e rammarico. Nelle culture della vita, invece, i giovani sono il paradiso dei vecchi. La gioia pura e disinteressata degli anziani per la bellezza della gioventù è un patrimonio preziosissimo dell’umanità. Noi lo stiamo esaurendo, e invece dovremmo soltanto custodire quel poco che ancora ci resta.
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