The Sun, la strada del sole
Grandi vetrate a guardare la pianura fin quasi il mare. La casa di Francesco Lorenzi, frontman dei The Sun, si trova a una manciata d’aria dalla città. Quel tanto da farti sentire fuori dal mondo. Connessa e anche non. Per arrivarci, s-connessa è pure la strada. Giunti poi a destinazione, meglio spegnere anche il telefonino: tanto qui non prende.
Si capisce bene perché l’autore, cantante e chitarrista, e con lui gli altri componenti dei The Sun, Riccardo Rossi (batterista), Matteo Reghelin (bassista), Gianluca Menegozzo (chitarrista), abbiano scelto questo posto, immerso nella natura e nel silenzio, per registrare il loro ultimo cd «20», uscito a dicembre. Quaranta brani, di cui dieci inediti, che celebrano un ventennio di attività della christian rock band più amata dai giovani di oggi.
Nonostante il nome inglese, la band vicentina compone in italiano. La scelta, tra il 2006 e il 2007, dopo una tournée di oltre cento concerti in dieci Stati differenti. In particolare è il leader Lorenzi a vivere per primo un cambiamento personale che lo riavvicina al cristianesimo. Un cammino condiviso, poi, anche dagli altri del gruppo.
A provocare la svolta di Francesco, la volontà di dare un significato più vero alla propria vita e alla musica. Proprio con il frontman della band parliamo di presente e, soprattutto, di futuro.
È necessario il silenzio perché poi ci sia il suono? Questo posto è il mio ossigeno. La casa è stata costruita con grandi sacrifici, grazie anche ad amici artigiani e famigliari che mi hanno dato una mano nel realizzare un sogno. Ha un’architettura semplice: lo scopo era quello di eliminare il più possibile il confine tra il dentro e il fuori, tra la casa stessa e la natura. Appena arrivo, spengo il telefono e mi isolo. Ho bisogno di silenzio, di meditazione, di preghiera: è una mia colonna sonora. Così con Matteo, Gianluca e Riccardo è stato davvero più facile, nella quiete della natura, comporre, provare…
Eppure una metropoli avrebbe dato maggiori opportunità professionali. In un certo periodo della carriera potevamo fare il «salto»: Milano o Roma. Se vivi lì tutto diventa più semplice. Il nostro mestiere gira attorno a certi luoghi, amicizie, conoscenze. Io ho deciso, invece, di abitare dove sono nato. A una vita pubblica ricca di contatti, incontri, eventi in cui cerco di dare il massimo, alterno una buona dose di solitudine che per me è una necessità. Tutti noi abbiamo bisogno di riconoscere, senza paura, che siamo un po’ l’uno e un po’ l’altro. Poi, quando la solitudine la si sceglie, è davvero una benedizione.
L’ultima tournée «Cuore aperto» si è chiusa con dati da capogiro: 116 mila fan, 140 eventi. C’è ancora qualcosa che vi dà il brivido? Grazie a Dio sono ancora tante le cose che mi stupiscono. In verità, più oggi di un tempo. L’altro, il diverso da me, dà un senso al mio vivere. Vedo tanta bellezza, tanta qualità, tanta umanità nelle persone. Questo esiste e ispira.
Ora di nuovo ai blocchi di partenza con 20. Che cosa vi attende nel 2018? La tournée inizia a maggio. Terremo concerti in tutta Italia. In autunno il pellegrinaggio, dopo due esperienze nel 2014 e 2016, in Terra Santa con i nostri fan. Una parte altrettanto significativa del nostro lavoro comincia proprio adesso: a febbraio incontriamo ragazzi e ragazze nelle scuole e non solo. Sono eventi-lezione in cui parliamo della nostra musica e, insieme, della necessità che ciascuno, secondo le proprie attitudini, lasci un segno nella vita, il dono più grande.
Nella prefazione del tuo libro La strada del sole il cardinale Ravasi definisce la musica «l’esperanto delle nuove generazioni». Quando cerco di esprimere un pensiero con il dialogo, ottengo dieci. Con la musica, in genere, arrivo a cento, riuscendo a tirar fuori una motivazione in più. Avviene con i ragazzi, ma non solo. Tutto ciò che comunico con i testi è fondamentale. Per questo il nostro compito richiede massima attenzione: se scriviamo qualcosa che non porta la persona che ascolta a interrogarsi, significa che abbiamo sbagliato. La canzone deve essere utile, deve servire, deve svegliare, costi quel costi. Proprio come ha detto il cardinale: la musica è la sveglia, è una lingua che libera. Può davvero fare la differenza per i ragazzi del nostro tempo.
Di che cosa hanno bisogno? Il parcheggio esistenziale in cui si trovano è una fregatura mostruosa. Non c’è tempo da perdere: è questo che ripeto di continuo. Ai ragazzi e alle ragazze che incontro dico che devono avere coscienza di quanto possano incidere nella loro esistenza, ma anche nella realtà sociale. Oggi tutto viene deciso da altri. Ci sono regole precise a cui adeguarsi. In tale campo ristretto dovrebbero crearsi la propria identità. Ciò è molto pericoloso: i giovani non devono aver paura di ribellarsi a regole uniformanti per cercare, invece, la propria strada, qualunque essa sia.
Gli esordi dei The Sun non sono stati propriamente quelli di una christian band. Siamo partiti con il nome The Sun Eats Hours. Eravamo un gruppo prettamente punk. In quel periodo, però, io ero inquieto, scontento.
Chi ti diede la «sveglia»? Fu mio padre. Mi disse solo questo: «Francesco, cosa vuoi dalla vita?». Mia madre, poi, mi consigliò di partecipare a una serata in parrocchia. Pensavo che sarei fuggito appena ci avessi messo piede. Invece trovai qualcosa che non avevo mai trovato prima: il calore dell’esserci per gli altri.
Cambia davvero la vita? Se oggi faccio il musicista è perché ho deciso di mettere al centro della mia vita una passione, una fede. Ma l’ho intrapresa con la volontà. Ciò ha portato a rinunce da una parte e a un certo discernimento dall’altra. Ai ragazzi dobbiamo dare l’opportunità di interrogarsi e, quindi, di discernere.
Nel tuo blog «Per anime libere» hai posto ai giovani domande sul rapporto con la Chiesa. Quali le risposte? Volevamo aprire un rubinetto, invece è esplosa una diga. Centinaia i riscontri giunti in pochi giorni. Sugli elementi che favoriscono il loro avvicinamento alla Chiesa hanno sottolineato: l’importanza di testimoni credibili ed entusiasti; la necessità di esperienze come campi scuola, incontri di formazione e spiritualità. Sugli ostacoli: la mancanza di risposte alle domande, il porsi in cattedra, l’incapacità di far emergere aspetti come gioia, entusiasmo, audacia.
L’intervista completa è disponibile nel numero di febbraio 2018 della rivista e nella versione digitale.