21 Aprile 2021

«T’a fhidi?»

Una storia sacra di pastori, di costruttori di antichi strumenti musicali, di una ricerca ostinata, di liutai, di giovani suonatori calabresi capaci di viaggiare nel passato per reinventare il futuro.

T’a fhidi?

Il vecchio pastore aveva già 80 anni. La capra non poteva più scappare, aveva le gambe legate. I due uomini, nei boschi della Presila catanzarese, erano chini sull’animale e avevano un coltello in mano. Il vecchio si girò appena, «voltò la testa sulla spalla» e disse solo «t’a fhidi?». «Te la senti?». Va tradotto ancora: «Ti fidi di te stesso? Il tuo cuore è disposto?». Vincenzo esitò un instante, ma la sua anima sapeva cosa rispondere: «Sì».

La capra fu uccisa, la sua pelle sarebbe diventata otre per una zampogna, si sarebbe trasformata in «suono». Un patto di sangue che ha legato per sempre Vincenzo: il sangue divenne parte di una storia sacra di pastori, di costruttori di antichi strumenti musicali, di una ricerca ostinata, di liutai, di giovani suonatori calabresi capaci di viaggiare nel passato per reinventare il futuro. Una storia difficile da raccontare: io posso solo ascoltare, non so suonare, non sono un artigiano, non sono un pastore. Il vecchio è un Maestro e ha un nome: Natale Rotella, quest’anno ha superato i 90 anni. Il giovane, Vincenzo Piazzetta, ha imparato da lui i primi segreti della costruzione degli strumenti della tradizione. La zampogna fu l’inizio di un grande viaggio.

Vincenzo, come molti suoi coetanei, dopo la scuola, aveva lasciato la Calabria. Per studiare. A Firenze. Due lauree: economia e lettere. Il lavoro di ufficio non era cosa, credo che la laurea in lettere, invece, sia stata utile. Il legame con la Calabria, nella distanza e nella fatica, si rinsaldò: appena era possibile Vincenzo tornava nelle sue montagne. A pascolare le capre assieme a Natale. Vincenzo imparava: dal bosco, dagli animali, dalla terra, dai cieli notturni. Ascoltava i suoni: il vento, il fruscio delle foglie, i belati, i campanacci. Entrarono nell’anima dell’artigiano che diventerà un costruttore di strumenti musicali.

C’è uno strano strumento nella storia pastorale di quelle terre calabresi, la lira, un arcaico violino da gamba. Era stato dimenticato. Si suonava nella Locride (Siderno, Gerace, Locri) e, sul versante tirrenico, nelle pendici del monte Poro. Non se ne conoscono le origini. Probabilmente era arrivato dall’oriente. I suoi ultimi, ruvidi accordi si ascoltavano ancora (ma era necessario cercare i suonatori) negli anni ‘70. Nell’area tirrenica era scomparso, nessuno suonava più. Negli anni ‘80, alcuni ricercatori (il gruppo «rls», Raffaele Lombardi Satriani, studioso di tradizioni popolari) ascoltarono, con loro sorpresa, vibrare le tre corde della lira. Lo strumento, in altre regioni mediterranee, aveva subito molte trasformazioni; nel Sud calabrese era rimasto immutato.

L’arte di Vincenzo è figlia di incontri. E di un lavoro attento e cocciuto. Si appassiona alla lira calabrese. Studia, sperimenta, cerca i legni adatti (l’abete rosso per la cassa armonica, il ponticello in acero…), mette alla prova le sue mani. «Ho scommesso sulle mie mani». Sono anni solitari, di boschi e dedizione, legni da scavare e lisciare e suoni da trovare. Ma è un cammino dove avvengono incontri: Vincenzo conosce Gabriele Trimboli. Gabriele ha poco meno di 40 anni, appartiene a una famiglia di suonatori e di mugnai. È cresciuto a Capofilico: ho provato a cercare questa contrada nel web: quasi non ve n’è traccia (c’è scritto: una casa).

Ho letto una sua frase: «Faccio ricerca musicale e culturale per il bene della mia comunità, non per diventare famoso. Voglio che siano i miei figli, più che gli estranei, a imparare a suonare la lira e gli altri strumenti della musica popolare». Nella famiglia di Gabriele ci sono lirai celebri in queste montagne calabresi. Musicisti avvezzi a suonare nelle rughe, gli stretti vicoli dei paesi attorcigliati attorno alle montagne. Gabriele guida Vincenzo tra gli strumenti della sua famiglia, tra i suoni che riecheggiano nella sua casa. Credo che sia stato un bell’incontro quello tra Vincenzo e Gabriele: si sono aperti nuovi orizzonti.

È tempo di incontrare anche Amedeo Fera. Calabrese, trasferito a Milano, 41 anni. Sociologo, laurea in scienza e tecnologia del suono a Vibo Valentia, ricercatore negli Stati Uniti. Vincenzo e Amedeo hanno un progetto coraggioso: «È tempo che la lira si evolva». Il suo suono così ruvido deve pulirsi. Deve diventare stabile presenza timbrica e poter viaggiare assieme a un liuto, a una viola. Balzo in avanti per poter tornare indietro. L’antico suono dei pastori calabresi si sta trasformando in musica colta.

 

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Data di aggiornamento: 22 Aprile 2021
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