A Rotondella non c’è «niente»
Claudia e Max sono una coppia austriaca. Alcuni anni fa fecero la follia di comprare un rudere (un’antica casa di pietra, franante e con il tetto sfondato) ai confini di Rotondella, piccolo centro della Lucania meridionale. Mille e trecento chilometri distante da casa e un paesaggio grandioso: il paese sorge sulla vetta di una collina che domina la piana costiera della regione. Vi abitano poco meno di mille persone, le case si attorcigliano in cerchi concentrici, le finestre sono «terrazze» sullo Ionio, nelle notti d’estate la luna sorge dal mare e sembra entrare nelle stanze. Claudia e Max hanno restaurato la casa di pietra. Oggi è bellissima e ospitale. Appena possono scendono dall’Austria e si rifugiano a Rotondella. Dove, in pochi anni, hanno costruito una rete di amicizie e collaborazioni. Hanno conosciuto l’intero paese e superato iniziali diffidenze. Hanno creato una «filiale» dei greeters (https://www.rotondella-greeters.com/), organizzazione internazionale di guide, locali e volontarie, disposte ad accompagnarvi gratuitamente per il paese e le sue campagne. Ne avrete bisogno: qui non ci si smarrisce fra i vicoli, ma fra le storie. È l’Italia minore e sconosciuta.
«Siamo arrivati a Rotondella per accorgerci che era quello che stavamo cercando» mi spiega Max. «Non c’è niente – continua – niente nel senso del turismo di massa. Qui abbiamo trovato davvero una terra di latte e miele». Ci sono le colline, le montagne, il mare. Piccoli ristoranti preziosi e case disposte ad accogliervi. Molte nonne del paese si sono riunite in una associazione: «Le nonne chef», e preparano una cucina semplice e buona. Impastano i pastizz, empanadas italiane, di farina di grano duro, a forma di mezza luna e ripiene di carne di maiale (ma c’è la variante vegetariana), e arrotolano un altro impasto, attorno a un ferro, per farne una pasta squisita: sono i frizzul. Mi spiegano che i pastizz, nonostante la presenza del maiale, hanno origini musulmane. E io scopro che Rotondella è anche un melting-pot, un sorprendente mosaico: un terzo degli abitanti del paese sono albanesi, eredi della migrazione-fuga del 1991. Lentamente si sono stabiliti qui, dove c’è lavoro (nei campi vi sono albicocche, fra le più dolci in Italia), hanno portato le famiglie. Alcuni di loro appartengono ai bektashi, una confraternita sufi. Credono in un Islam mistico e tollerante. Sono stati ben accolti, i loro figli crescono bene, e fanno i chierichetti alle messe di don Giovanni, giovane prete lucano. Qui conosco nuovi abitanti trentini (arrivati a raccogliere arance e qui rimasti) e fiorentini (chi gestisce il bar della piazza). Ci sono ospiti napoletani. Si vive bene a Rotondella.
Immagino la luna che davvero sorge dal mare, e so che Claudia e Max mi ospiteranno ancora nella loro casa. Come hanno fatto Antonio, Marcelo, Salvatore, tanti altri. Don Giovanni, fra qualche mese, andrà a vivere in Centroamerica, una nuova missione. Rotondella aspetta la fine della pandemia. Anche sant'Antonio, aspetta con fiducia: non ho ancora scritto che è il patrono del paese. Una sera, in estate, di fronte a duecento persone, «distanziate» nella piazza, ho raccontato della devozione, nel mondo, al Santo. Una bella serata.
Sì, a Rotondella non c’è niente.
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