Tutto o niente
Lussuria e impurità. Ancora una volta ci troviamo di fronte a parole decisamente «fuori moda», che sant’Antonio utilizza per indicare alcuni «nemici» dell’anima, impedimenti seri che ostacolano il nostro cammino di persone libere. Altrettanto fuori moda è forse la virtù richiamata per contrastare tali vizi: «vivere castamente». Ho l’impressione che abitiamo in un contesto per certi versi strano. Ciò che un tempo era chiaramente ritenuto come un peccato da evitare, la lussuria, oggi viene talvolta considerato un atteggiamento addirittura da favorire, piacevole e del tutto «naturale». Una sorta di ribaltamento. Senza addentrarci approfonditamente in ciò che bisognerebbe intendere quando si parla di lussuria, potrei dire in modo sbrigativo che si tratta di una triste e grave distorsione: l’altro non è accolto quale persona che ci viene incontro come dono e con la quale possiamo entrare in rapporto, ma è una «preda» da catturare per usarne in maniera istintiva. Non vi è più lo spazio della relazione, ma la spinta dell’aggressione.
E per quanto riguarda l’impurità, anch’essa richiamata da sant’Antonio, si può dire che abbia a che fare con la frammentazione, la parzialità. In che senso? La persona «pura» non è – irrealisticamente – quella senza passioni, sempre equilibrata e cristallina; il «puro» è colui che tratta l’altro considerandolo nella sua totalità, nella sua dignità, con una sua storia. Noi diciamo, ad esempio, che un capo di abbigliamento è di «lana pura» quando è tutto di lana. Tutto. Per essere persone pure occorre entrare in rapporto con «tutto» l’altro, non solo con ciò che ci piace. L’«impurità» prende solo ciò che fa comodo, frammenta l’altro catturando e usando unicamente ciò che dà piacere. Sant’Antonio ci offre così una chiave di lettura per comprendere bene che cosa significhi castità: amare gli altri in tutto ciò che sono, dicendo di no a quell’ingordigia che, dell’altro, vorrebbe prendere solo dei «pezzi».
Casto è chi sa avviare rapporti che fanno percorrere la strada insieme, che si aprono alla novità di un cammino sì faticoso, ma sorprendente e costruttivo. Ci fa sorridere che un elefante si dia alla fuga di fronte a un topolino, pur non causandogli pericolo alcuno. Eppure così occorre fare di fronte alla lussuria. È come un topo, in apparenza innocuo, ma da fuggire appena se ne intravvede l’insinuazione. Se incominciamo a darle retta, a lasciarci irretire dai suoi richiami, ci ritroveremo con l’amaro in bocca. Molto, molto superficiali.
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