«Un piatto caldo per i miei immigrati»
Norina Ventre ha 89 anni. Vive a Rosarno (Reggio Calabria), cittadina con poco meno di 15 mila abitanti, in una casa modesta. Per oltre trent’anni è stata maestra d’asilo. Ha visto tanti piccoli crescere e mettere su famiglia. Ma la sua attività non è finita con la pensione: da almeno due decenni si dedica agli immigrati. Ne ha accolti a migliaia negli ultimi anni. Tanto che la sua è diventata una grande famiglia senza confini geografici, né di razza o religione. Per tutti Norina è diventata semplicemente «mamma Africa».
A questa donna, umile quanto straordinaria, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito, nei mesi scorsi, il titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica. La motivazione: «Per l’impegno profuso, nel corso della sua vita, in straordinarie opere per l’integrazione delle persone socialmente disagiate». Le sue prime parole raccontano già tutto di lei. «Non me l’aspettavo – dice, infatti, quasi con pudore –. Non ho fatto nulla di strano, soltanto il mio dovere. È una cosa che mi viene spontanea: volersi bene, aiutarsi gli uni gli altri. Dobbiamo essere solidali con chi è nel bisogno».
La terra di Norina è una terra tutt’altro che facile. Piana di Gioia Tauro, lembo di Calabria ricco di storia, cultura e tradizioni. Ma anche di contraddizioni. Legalità, solidarietà e accoglienza arrivano a sfidare l’illegalità che qui ha un nome preciso: ’ndrangheta. E poi i tanti egoismi di fronte allo straniero che bussa alla porta. Il fenomeno del caporalato, in particolare, nei lavori legati alla raccolta di pomodori e arance, è sempre più diffuso. Paghe basse, orari al limite dell’umano, ospitalità quasi inesistente. Arrivano da terre martoriate dopo viaggi che sono un inferno. «Vengono qui per poter guadagnare qualcosa per loro e le loro famiglie lontane – rassicura Norina –. Ragazzi pronti a spaccarsi la schiena nella raccolta, eppure senza un tetto e un fuoco che li riscaldi, senza coperte e senza pane. Come si può rimanere indifferenti?».
Da sempre con gli ultimi Da giovanissima, Norina si dedica agli sfollati della guerra, poi ai baraccati di Rosarno, quindi alle raccoglitrici d’olive della piana di Gioia. Nel suo passato ci sono anche le scuole di formazione professionale ideate dalla Coldiretti, l’impegno per lo sviluppo delle aree rurali. E ora l’attività dalla parte degli immigrati. Li conosce uno a uno, sa dove trovarli. Li ascolta, li aiuta. Loro le vogliono un gran bene. «Per la festa della mamma mi riempiono, puntualmente, di fiori e di dolci». Piccoli gesti per dirle tutta la loro riconoscenza.
A Rosarno la conoscono tutti. Volontaria dell’Unitalsi da decenni e fondatrice dell’Ordine delle vedove in diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, tanti anni fa ha deciso di aprire le porte di casa ai giovani stranieri e sofferenti. Ha apparecchiato tavola, offrendo loro un piatto caldo. Ne ha sfamati a migliaia.
«Mamma Africa» inizia ad accoglierli nel lontano 1991, fondando la «Mensa dei neri» di Rosarno, una delle opere di carità di questo lembo inquieto di Calabria. Lei, sposata con Rocco, proprietario terriero impegnato nella coltivazione di agrumeti, trasforma il dolore della mancanza di figli nati dalla propria carne in un dono per gli altri, offrendo a quanti incontra le premure di una mamma vera. In questi anni lotta contro indifferenza e diffidenza, mettendoci faccia e coraggio.
Aiutata da altre madri, vedove, vicine di casa, amiche. Ma anche dai volontari della Caritas e dell’Azione cattolica. «Noi – aggiunge – siamo felici quando aiutiamo qualcuno. L’odio non porta da nessuna parte, anzi fa star più male chi lo persegue». La mensa è fatta con i soldi suoi e delle persone che l’aiutano. Tutti volontari. A chi dice che a Rosarno sono razzisti, Norina ribatte decisa: «Sono sciocchezze. Ci sono tante mamme che cucinano per i “miei ragazzi”.
Ogni domenica vengono distribuiti fino a 200 pasti. Questo è possibile grazie al contributo di tante persone». E a chi le chiede il perché di tutto questo, risponde con le stesse parole di Madre Teresa di Calcutta: «Perché non dovrei? Gesù ha detto che quando avremo dato da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, curato i malati e i poveri, l’avremo fatto a lui».
Tra difficoltà e diffidenzaSette anni fa la mensa di «mamma Africa» viene distrutta da alcuni vandali. Una grande ferita. Ma dura poco. Il cuore grande di Norina supera ancora una volta le difficoltà e la diffidenza sorta in un momento nel quale sembra che tutti l’abbiano abbandonata. Con le lacrime agli occhi lei continua ostinatamente nella distribuzione del cibo. Ben presto trova un capannone e una cucina di fortuna. «Non mi sono arresa – racconta ora –. Non volevo lasciare quei ragazzi senza cibo. Ho realizzato subito una mensa nella mia piccola campagna raccogliendo tavoli e sedie trovati qua e là».
Alla mensa, rammenta, si presentavano infreddoliti e silenziosi. Tutti in fila per mangiare qualcosa e ritemprarsi. Un piatto per ciascuno non mancava mai, fino a esaurimento scorte. «Quando finivamo il cibo e tanti di loro, ancora in fila, dovevano andarsene, mi si stringeva il cuore. Era questo il momento più triste». «C’era e c’è ancora tanto bisogno di accoglienza», prosegue «mamma Africa».
«I tavoli spezzati di Norina – ha scritto la Comunità di Sant’Egidio, da sempre al suo fianco – sono un po’ il simbolo di una convivenza, di una allegra convivialità, “orrendamente spezzata”, che attende di essere ricostruita. Siamo con Norina a ricostruire i tavoli della sua mensa, a ricostruire, insieme ai tavoli, quella convivenza di serena convivialità, di accoglienza e di fiducia nel futuro». Un futuro che lei, donna decisa e controcorrente, continua a costruire giorno per giorno. E, come una madre, non fa distinzione tra i propri figli.
Per i tanti migranti che lavorano nella Piana di Gioia Tauro, e che spesso dormono in capannoni dismessi o vecchie baracche, appuntamento fisso è quello della domenica. Si presentano, in media, in 200, alternandosi a tavola. Il menù è semplice: rigatoni al pomodoro e peperoncino o al tonno, pollo o carne di capra con patate.
La scuola di carità Vicino a casa, poi, Norina ha compiuto un altro piccolo «miracolo»: ha trasformato una scuola materna, ormai in disuso, in una «scuola di carità» intitolata proprio a Madre Teresa di Calcutta. Due volte la settimana vengono distribuiti vestiti e viveri. L’opera è attiva da tempo ormai. Per la precisione da quando Norina ha iniziato a girare con la sua vecchia Fiat piena di generi di prima necessita: riso, pasta, latte, acqua, zucchero. «È quanto raccogliamo da donazioni private e grazie al contributo del Banco alimentare – aggiunge –. Serve ai migranti per le necessità dell’intera settimana».
In questi anni ha tenuto a battesimo diversi bambini, figli di persone che ha aiutato. «Sono loro a chiedermi di fare da madrina – racconta –. Io, felice, li accontento donando i corredini che realizzo con le mie mani. Uno di loro ha voluto prendere il nome di Giovanni, patrono della nostra parrocchia». L’impegno di Norina, la sua sensibilità, il suo guardare in faccia le persone e le difficoltà è una provocazione per tutti. Soprattutto in un momento in cui l’immigrazione sta segnando un processo epocale che passa per le strade della Sicilia, della Calabria, della Puglia, fino a raggiungere tutto lo Stivale.
Norina ricorda le parole pronunciate da papa Francesco nella visita a Lampedusa, l’8 luglio 2013. «“Siamo tutti responsabili dei tanti fratelli africani morti in mare, costretti a fuggire dalle loro terre in cerca di avvenire e speranza”: è un invito chiaro ad avere il coraggio di accogliere. Mi ha colpito la grande attenzione per quanti rischiano la vita, e muoiono, in cerca di un futuro migliore. Appena ho sentito le parole del Papa, ho pianto».
Ai suoi ragazzi Norina ha affidato un altro compito. «Quando morirò dovranno essere loro ad accompagnarmi per l’ultimo saluto – sussurra con voce commossa –. Mi hanno promesso che mi porteranno sulle loro spalle, cantando e ballando com’è nelle loro tradizioni». Intanto, tra Rosarno e San Ferdinando, sono attesi a breve almeno 4 mila nuovi lavoratori immigrati per la prossima raccolta degli agrumi. «Mamma Africa» rassicura tutti: «Non dovranno aver paura. Per quanto sarà possibile, io per loro ci sarò sempre».