Una ger per costruire la comunità

Un progetto a favore dei bambini delle periferie di Ulaanbaatar in Mongolia, diventa la scintilla per cambiare la comunità e per educare alla dimensione del dono.
18 Marzo 2019 | di

Rinascere sotto una ger, l’abitazione tradizionale della Mongolia, ha per ogni bambino di quel Paese un significato unico. Dà il senso della famiglia e del riparo, visto che la ger è in grado di resistere ai forti venti e a temperature al di sotto dei 20 gradi. Non solo, la ger, fatta in buona parte di legno e di materiali animali, è il frutto di una tradizione che affonda le radici nell’epopea del grande Genghis Khan, padre della patria, che seppe unire le tribù nomadi e creare, nel XIII secolo, l’impero più grande della storia umana, dall’Europa Orientale alla Cina.

Nomadi prigionieri della povertà

Questa tradizione arriva fino a Caritas Antoniana attraverso una via inattesa: le missionarie e i missionari della Consolata, presenti in Mongolia solo dal 2003. Del resto, l’intera Chiesa cattolica nel Paese ha poco più di venticinque anni di vita e coinvolge appena lo 0,4 per cento degli abitanti. Gli altri sono in maggioranza buddisti. Eppure, la scarsa semente cristiana diventa speranza, al di là dell’appartenenza religiosa, soprattutto per i ragazzini dai 6 ai 15 anni. Figli degli allevatori nomadi, gli ultimi germogli di culture in estinzione, non possono più vivere come i loro genitori negli spazi infiniti delle steppe. L’orizzonte oggi è la periferia di Ulaanbaatar, la capitale, che da sola ospita un terzo dei 3 milioni di abitanti del Paese. Il destino è la povertà e una vita senza futuro. È padre Yeinson Andres Galvis Ospina, il responsabile del progetto, a spiegarcene il motivo: «Le famiglie nomadi sono state costrette a stabilirsi in città per cercare cibo e lavoro, soprattutto dopo che un evento atmosferico eccezionale ha fatto scendere le temperature sotto i 50 gradi, uccidendo tutti gli animali, loro fonte di sussistenza». La città si rivela matrigna; la mancanza di prospettive genera alcolismo, violenza domestica e l’abbandono dei bambini.

L’origine del progetto

E così, otto anni fa, i missionari della Consolata acquistano un terreno nel distretto di Chingiltei, nella zona nord di Ulaanbaatar, luogo circondato dalle montagne, dove abitano 3.800 famiglie poverissime. Aprono tre asili, una scuola elementare, un centro per bambini e famiglie e un centro per la formazione professionale. «Nel 2017 abbiamo iniziato un programma, insieme scolastico, educativo e ricreativo per settanta bambini e ragazzi, con un’insegnante a tempo pieno che li aiuta nei compiti».

La richiesta a Caritas Antoniana è molto semplice: «Vorremmo acquistare una ger come spazio multiuso e avviare attività estive. Necessitiamo di mobili, libri, giochi, attrezzatura sportiva e per i laboratori, e strumenti musicali. Vorremmo piantare degli alberi per proteggere il nostro centro dall’accumulo di neve e dal vento freddo, ma anche per mostrare ai ragazzi i cespugli da frutto che possono vivere in questo clima. Da ultimo, creare un orto didattico».

Donare, che sorpresa!

Un sogno che costa 8 mila 800 euro e che vale settanta vite. Il progetto rigenera la comunità.  Ma il frutto più bello è quello più inatteso: «La scorsa estate – racconta l’ultimo resoconto dalla Mongolia –, siamo riusciti a organizzare le attività estive per i bambini. Un professore universitario ci ha messo in contatto con un gruppo di giovani della facoltà di Scienza dell’educazione locale, che sono venuti come volontari». E a questo punto è successo qualcosa di straordinario. «Gli studenti sono rimasti profondamente coinvolti dalle storie di dolore di questi bambini, sono diventati presto il loro punto di riferimento. Non solo, hanno avuto modo di conoscere una realtà di emarginazione e di bisogno che non avrebbero mai immaginato». Ma, soprattutto, i giovani si sono sentiti responsabilizzati, scoprendo il valore della gratuità: «Se persone straniere fanno tutto questo per i nostri bambini – si sono detti –, a maggior ragione dobbiamo farlo noi».

Scoprirsi comunità

È il capovolgimento del punto di vista: «Nel contesto mongolo il volontariato è inteso solo come aiuto tra familiari. Questi giovani, invece, hanno scoperto la gioia di dare, senza ricevere nulla in cambio. I legami con i bambini erano ormai così forti che, quando è finita l’estate, hanno promesso che sarebbero tornati. Oggi sono gli animatori volontari permanenti del nostro centro e sono diventati un modello per i nostri ragazzi, l’esempio che anche loro ce la possono fare».

 

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Data di aggiornamento: 18 Marzo 2019
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