Come la luce fuga le tenebre
Il digiuno è medicinale, lo conferma il Santo. Limitare o bandire il consumo di qualcosa che attrae e danneggia, può sviluppare una «competenza» tutta nuova che vale provare. Traduco con «competenza» un’abilità che coltiviamo nella nostra Comunità per le persone con problemi di droga.
Le dipendenze – possono essere alcol, cocaina, sostanze da fumo piuttosto che le nuove aree di rischio come il gioco d’azzardo – sono, con un’immagine tratta dagli scritti di sant’Antonio, «come un fumo della mente, che disturba gli occhi...». Lo sanno in tanti. Non tutti però sanno come la rinuncia a queste sostanze crei una situazione tutta nuova che stupisce chi la vive.
Quando una persona, giovane o meno, chiede il nostro aiuto, viene invitata, insieme alla sua famiglia o a chi le vuol bene per legami di affinità o amicizia, a rivedere il proprio stile di vita sospendendo l’uso di ogni sostanza tossica, alcol compreso. Sospendere non significa superare tutto il problema, ma vuol dire iniziare un’esperienza nuova, dove protagonista è la persona stessa che liberamente si mette in gioco, sostenuta dall’impegno di molti altri.
Inizia un «digiuno», un’«astinenza» che non scolpisce fisici prestanti, ma scava in profondità, con fatica, con qualche lacrima e con gratificanti segni di cambiamento d’anima. Sant’Antonio scrive: «Come la rugiada tempera il calore del sole e la luce fuga le tenebre, così l’astinenza mitiga la bramosia della gola e dei vizi e fuga le tenebre della mente», mettendo ancora in evidenza che è sempre la mente che rischia di «mentire», cioè di pervertire le facoltà di giudizio e di scelta. E continua il Santo: «E in questo modo i morti risorgono».
Il cammino di un uomo o di una donna fuori dalle dipendenze è davvero un cammino di risurrezione fisica, spirituale e mentale, con entusiasmi, cadute, esitazioni, progressiva ripresa di responsabilità verso tutto. Giorno dopo giorno si diventa «competenti», cioè si sviluppa quell’antidoto che sant’ Antonio vede nella saliva umana che impasta ogni cosa.
Non è un cammino facile, non si diventa esperti in un’ora, e si risorge quando quasi nessuno se lo aspetta più. Non è senza «tristezze» e frustrazioni il cammino in salita di questo digiuno. Il Santo nella sua predicazione parla di una «tristezza secondo Dio»: tristezza per il male compiuto, fatica nello svelare e dichiarare il proprio angolo oscuro e nel riparare i trascorsi.
Ma – utilizzo liberamente ancora alcune parole di Antonio – questa tristezza giova anche sul piano umano perché «produce la giusta difesa», facendo verità dopo le menzogne; poi, genera «indignazione» verso se stessi, senza puntare il dito sul prossimo o sul destino; e ancora, insegna il «timore» di ricadere sul filo di vecchi ricordi; ma è anche «desiderio» di crescita, giorno per giorno, verso una vita più degna; è «emulazione», cioè imitazione di chi è più avanti; è, infine, «rivendicazione», cioè vittoria su di sé.
Non c’è che dire, se il Santo vivesse oggi, ci darebbe qualche buona dritta sul fronte delle tante, troppe bulimie di cui siamo schiavi.
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