Ripartire dal centro, cioè dall’appartenenza a Dio
Nel Discorso alla Veglia di preghiera per la famiglia, il 4 ottobre 2014, all’apertura del Sinodo straordinario sulla famiglia, il Papa aveva parlato dell’importanza di tenere lo sguardo rivolto a Cristo. Al fine di «verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto [...]. Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate». E il capitolo terzo di AL ha come titolo: Lo sguardo rivolto a Gesù: la vocazione della famiglia.
Nella relazione finale del Sinodo del 2015 si era affermato tra l’altro che nell’orientare e accompagnare sulla via dell’amore matrimoniale e familiare, la Chiesa ha come bussola «la Parola di Dio nella storia, che culmina in Gesù Cristo “Via, Verità e Vita”» (n. 35). Ciò sulla scia di Evangelii Gaudium in cui il Papa affermava che «tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma» (n. 165, cfr AL 58) – termine greco che significa «annuncio» e indica l’annuncio del Vangelo pasquale nel suo contenuto fondamentale: l’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù, centro della nostra fede.
E al centro della rivelazione di Gesù Cristo è la misericordia – tema ricorrente in tutta AL – e la famiglia di Nazareth. Nel Discorso alla Veglia di preghiera per la famiglia, il 3 ottobre 2015, Papa Francesco aveva detto: «Per comprendere oggi la famiglia, entriamo anche noi nel mistero della Famiglia di Nazareth, nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie; vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà che libera e fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo». Ora in AL sottolinea: «Davanti ad ogni famiglia si presenta l’icona della famiglia di Nazareth, con la sua quotidianità» (AL n. 30). «L’alleanza di amore e fedeltà, di cui vive la Santa Famiglia di Nazareth, illumina il principio che dà forma ad ogni famiglia, e la rende capace di affrontare meglio le vicissitudini della vita e della storia» (AL n. 66).
Dunque un ripensamento profondo per riportare al centro il primato di Dio, l’evento dell’Incarnazione morte e risurrezione di Gesù Cristo e la sua pedagogia in tutta la prassi della Chiesa. Nella Relazione finale del Sinodo 2015 si legge: «Il discernimento della vocazione della famiglia nella molteplicità delle situazioni che abbiamo incontrato nella prima parte, ha bisogno di un orientamento sicuro per il cammino e l’accompagnamento. Questa bussola è la Parola di Dio nella storia, che culmina in Gesù Cristo “Via, Verità e Vita” per ogni uomo e donna che costituiscono una famiglia» (n. 35). «Nelle sfide contemporanee della società e della cultura, la fede rivolge lo sguardo a Gesù Cristo nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto. Egli ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con verità, pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio (n. 37)».
Il Vangelo della famiglia – o «la famiglia secondo il Vangelo», come direbbe Enzo Bianchi – da proporre nelle circostanze attuali: è questo il nucleo centrale della pastorale della Chiesa. E ciò che la Scrittura mette in evidenza è la pedagogia di Dio attraverso la famiglia.
Facciamo un riferimento esplicito nell’AT guardando alla figura di Abramo. È chiaro che la storia del patriarchi mette al centro la famiglia. La prole è numerosa, la loro famiglia è allargata diremmo oggi. Senza di essa l’uomo non sussiste, senza famiglia è spaesato, disperso, senza patria. Infatti le categorie di persone più deboli di cui si parla spesso nella Bibbia sono le vedove, gli orfani, gli stranieri. Non si può che appartenere alla famiglia con tutti i valori sottesi. E’ talmente fondamentale avere una famiglia che si istituisce la legge del levirato: il parente prossimo subentra per dare una discendenza al congiunto, defunto senza averla; oppure la legge del riscatto: il parente prossimo subentra a sostenere quello in difficoltà.
Eppure Abramo si sente dire: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Ge 12,1) e obbedisce alla voce di Dio (cfr Eb 11,8-9). Al centro della narrazione non c’è un discorso sulla famiglia ma su Dio. Noi conosciamo il desiderio di Abramo di avere una discendenza, ma ciò che lo contraddistingue non è l’avere generato Isacco, il figlio della promessa, ma la sua fede in Dio. Una fede che ha superato anche la prova del sacrificio del figlio. Nell’epopea di Abramo la fede è centrale. Egli è padre nella fede.
Al primo posto nell’annuncio c’è allora la fede in Dio. Il discorso primo è la fede, è credere in Dio, mettersi di fronte a lui. Allora la pastorale, la vita della chiesa, ogni progetto di evangelizzazione deve partire da un annuncio di fede. A partire da qui si rinnova il volto del matrimonio e della famiglia. Si rinnova il volto della vita cristiana nei suoi vari aspetti: il lavoro, il denaro, il tempo, il corpo e la sessualità…
Quindi, e giustamente, quando si parla di evangelizzazione della famiglia, s’intende proprio che bisogna partire dal centro, cioè dall’appartenenza a Dio. L’appartenenza a Dio precede ogni altra appartenenza, ne è il fondamento e la misura.
E non a caso – se vogliamo un rimando a un aspetto concreto della pastorale come sono i cosiddetti «corsi prematrimoniali» – dalle riflessioni del Sinodo è emersa «l’esigenza di un ampliamento dei temi formativi negli itinerari prematrimoniali, così che questi diventino dei percorsi di educazione alla fede e all’amore, integrati nel cammino dell’iniziazione cristiana» (Relazione finale al Sinodo del 2015, n. 58).