Battaglie d’inchiostro
Il film The Post onora un grande quotidiano americano: «The Washington Post». Quasi due ore di cinema (ispirato a una storia vera, anno 1971) per una trama lapidaria e tagliente. Il segretario alla difesa tace in pubblico quello che sa, che cioè la guerra in Vietnam non sta producendo risultati e porterà a morte altre migliaia di soldati oltre che milioni di civili asiatici. Nauseato di queste menzogne, un giovane membro dello staff fotocopia rapporti riservati e li divulga ai giornali, prima al «New York Times» che li pubblica e riceve una pesante diffida giudiziaria.
Poi si mette in moto il «Washington Post», che raggiunge la fonte e si prepara alla diffusione dei documenti (i famosi «Pentagon Papers»). Ma il giornale si divide: il caporedattore Ben Bradlee (Tom Hanks) chiede di andare in stampa; gli amministratori temporeggiano, per il rischio di finire in carcere, subire contraccolpi finanziari, inimicarsi la Casa Bianca. Presiede il consiglio d’amministrazione una donna gentile e prudente, un’affettuosa padrona di casa, Katharine Graham (Meryl Streep), vedova di Phil (il precedente editore) e ora erede di un consistente potere mediatico. È un classico bivio etico in cui contano sia gli effetti di una scelta, sia il suo intimo significato. Quale strada verrà decisa?
Nella Costituzione americana, al primo emendamento rifulge la libertà di parola, la libertà di stampa, la libertà di professare una religione. Lo Stato non deve interferire, non deve calpestare né violare né imporre restrizioni su queste elementari forme d’espressione: credere in un Dio, esercitare atti di culto, protestare presso il Governo contro un’iniquità, rendere pubbliche verità socialmente importanti, organizzare assemblee pacifiche.
Negli Usa, che proibiscono la proclamazione di una religione ufficiale e difendono la separazione tra Chiese e Stato, la libertà d’espressione è riguardata come la via privilegiata di quella «religione secolare» che onora la democrazia e il buon governo. La Corte Suprema degli Usa, assolvendo gli editori dei quotidiani citati nel film, sentenziò che la stampa non è destinata a servire coloro che governano, bensì quelli che sono governati. Phil, il defunto marito di Katharine Graham, aveva usato nobili parole: «Ogni notizia è la prima bozza della storia». E il Post reca ogni giorno in epigrafe il motto «La democrazia muore nell’oscurità».
Proprio alla dolce Katharine, tradizionalista e cerimoniosa, timorosa di farsi nemici, capita di trovarsi nel cuore del dilemma morale: portare alla luce le scandalose bugie del governo o attendere lunghe vie legali rispettando la riservatezza chiesta dal segretario alla difesa? Katharine (prima editrice donna nella storia del «Post» e raro esempio di una leadership al femminile) impara da capo il senso di una promessa professionale, mentre ammira umilmente la passione del proprio staff.
Il fascino registico, che Spielberg imprime a The Post, muove anzitutto dalla rappresentazione stupita di quella gigantesca macchina di scrittura che era un grande giornale nell’epoca pre-digitale: impaginazione artigianale, tempistica ossessiva della tipografia, correzione quasi simultanea alla pubblicazione, sbaffi d’inchiostro e traballanti caratteri mobili in rilievo, che si incastrano miracolosamente tra loro. Sembra di annusare l’olio dei rulli, mentre le molle pressano le pagine, gli stantuffi trascinano i fascicoli, le corde d’imballaggio attendono ansimanti.
E poi c’è la carta, tanta carta, il calore delle fotocopie, notti insonni a ricomporre fascicoli confidenziali, appartamenti gonfi di dispacci, borse pesanti d’appunti ambigui, quintali di dichiarazioni tanto ufficiali quanto ingannevoli. Un puzzle infinito. Quando l’informatore confessa la sua complicità e fornisce al giornalista la prova documentale, non esistono ancora né chiavette usb né e-mail né smartphone. C’è solo da correre sul primo taxi, nascondendo il segreto nella giacca o in uno scatolone e implorare l’attenzione del capo e uno spazio in prima pagina. È la stampa, bellezza! È il cinema!
L’articolo è pubblicato nel numero di dicembre del «Messaggero di sant’Antonio» e nella corrispondente versione digitale.