30 Novembre 2019

Sporchi di fango

La storia umana è impressa nel fango, perché tutti siamo creature, blocchi di argilla nelle mani del sapiente vasaio divino, che con il fango ha scelto pure lui di «sporcarsi», facendosi uomo.
illustrazione persona infangata nel tornio

©JeSuisLautre

Non mi vergogno a rivelare che da ragazzino, quando calcavo il campetto di calcio dell’oratorio, le partite più entusiasmanti e indimenticabili erano per me quelle dopo una bella giornata di… pioggia. Con il campo da gioco praticamente ridotto a un «fangaio» (evidentemente la qualità del fondo erboso di questi campi era una pura ipotesi e, a dire il vero, anche le nostre primitive scarpette chiodate lasciavano alquanto a desiderare). Meglio ancora, ed era l’apice della goduria calcistica preadolescenziale, se persisteva a venir giù almeno una leggera pioggerellina.

Tackle e prolungate scivolate, se servivano ma anche no, erano all’ordine del minuto, senza alcun ritegno né savoir-faire. Mi sono sempre chiesto come facesse l’arbitro a distinguere i giocatori delle due squadre in campo! Non mi ricordo i risultati di queste partite. Ma mi ricordo, oh se mi ricordo molto bene, la faccia della mamma quando infine scoperchiava la borsa di calcio.

Con grande e del tutto personale soddisfazione appresi in seguito che, stando al libro della Genesi, Dio avrebbe di fatto plasmato l’uomo con un po’ di fango. Il passaggio non era del tutto logico, me ne rendo conto adesso, ma allora mi parve una prova tutta a mio favore. Averla saputa a tempo debito, avrei potuto affrontare un po’ più spavaldo il rientro a casa dopo la partita.

Che persino Gesù da ragazzino, come mi aveva invece raccontato qualcuno, si fosse divertito a stupire i suoi amici usando il fango per creare degli uccellini o, e questo l’ho letto io stesso nel Vangelo, per guarire miracolosamente il cieco nato (Gv 9,6), era solo la ciliegina sulla torta, il sigillo che metteva a tacere qualsiasi discussione.

Sentite cosa scriveva a proposito sant’Antonio: «La saliva viene unita alla polvere, cioè la divinità è unita all’umanità, affinché vengano illuminati gli occhi del cieco nato, cioè del genere umano, accecato nei progenitori» (Domenica di settuagesima)!

Per tutti questi bei e consolanti motivi, mi ha sempre fatto specie che il fango venga da noi piuttosto usato in senso dispregiativo: «infangare» qualcuno o sentirsi «infangati» da qualcun altro non è propriamente una bella esperienza, e metaforicamente «gettare del fango» addosso ad altri non é certo un complimento gentile. Insomma: una brutta cosa! Una parolaccia, neanche di nobili natali etimologici perché non viene né dal greco né dal latino, ma cala dal freddo e umido Nord Europa, attaccata agli stivali di barbuti guerrieri barbari.

Ma adesso che viene Natale, possiamo forse concederci una riabilitazione per lo meno postuma di fratello fango. Un dire abbastanza esplicito e comprensibile a tutti della nostra fragilità e del nostro limite, della nostra povertà ma nel senso di limitatezza prima ancora che indegnità morale. Di fango è la nostra storia, non perché facciamo ribrezzo o combiniamo chissà che, ma perché siamo tutti allo stesso modo creature, blocchi di argilla nelle mani del sapiente vasaio divino, appoggiati sul tornio del suo cuore: viviamo di slanci più che di realizzazioni, di bei propositi più che di coerenza, desideri immensi in corpi piccoli, schegge di divino in materia vile. Ma tant’è: così siamo, questa è la nostra umanità.

Eppure ’sto fango così schifo non deve tutto sommato fare, se persino Dio se n’è lasciato infangare… Se si è rivestito della nostra umanità, se vi ha per sempre impressa la sua forma divina, e da allora in poi ne ha fatto la strada a senso unico per arrivare a lui. Come se il fango fosse piuttosto la materia preziosa di cui siamo fatti: continuamente da modellare e rimodellare, ma certamente di cui non vergognarci.

Buon Natale!

Data di aggiornamento: 30 Novembre 2019
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