L’immaginazione al potere
Perché ogni anno, anzi ogni volta, è la stessa storia? Perché è così maledettamente difficile accettarsi e farsi accettare orgogliosamente lumbàrd, e allo stesso tempo patriotticamente italiano, convintamente europeo e, soprattutto, entusiasticamente… umano?! Perché una qualsiasi di queste appartenenze mi dovrebbe escludere dalle altre? Peggio, contrappormi a esse pur di affermarmi come tale?
Per me l’umanità si distingue in uomini intelligenti e uomini stupidi. E se per forza di cose dev’esserci qualche priorità, le uniche che sono disposto ad accettare sono quelle evangeliche: prima piccoli, poveri, affamati, carcerati, malati, stranieri, anziani. È questione di vita o di morte, se me lo concedete, anche un po’ egoisticamente: se non è salva la dignità di chi sta in fondo alla fila, non lo è nemmeno quella di chi occupa i primi posti.
Quando san Paolo usa l’immagine del corpo, non lo fa nella lettura classica, che tanti prima di lui avevano già proposto. Evidenziando cioè la nobiltà e perciò la primazia di alcune parti rispetto ad altre, anzi: «Le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto» (1Cor 12,23). Perché Cristo è ugualmente in ognuna delle membra del corpo, che eventualmente si differenziano tra di loro solo per la funzione. Essere testa piuttosto che piede, bianco piuttosto che nero, del Nord piuttosto che del Sud, nel menu divino non mi dà di per sé nessun privilegio né garanzia di qualità.
Perché allora continuiamo a giustificare, persino a postulare, nelle aule parlamentari tanto quanto sui social, che ciò sia bene, che alcuni siano su barconi e altri su yacht, piuttosto che tutti sulla stessa barca battente bandiera umana e divina? Di fronte alle tetre immagini che certe ideologie ci propinano: noi/loro, mio/tuo, confini, muri, sfruttamento, benessere a tutti i costi, egoismo nazionalistico, tirannia dell’adesso e subito, eccellenze razziali, privilegi sociali, stili di vita indiscutibili anche se fondati sull’ingiustizia; urge una contro-immaginazione cristiana. Non per nostalgia di altri tempi, che non è nemmeno opportuno che tornino. Ma per ottemperare al mandato evangelico di essere lievito per questo di mondo.
Cercando allora nuove immagini, mi è venuto in mente quel che scriveva un padre della Chiesa, sant’Ireneo: «Il nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia». Siamo molto fortunati: abbiamo a disposizione un «Instagram eucaristico» di prima scelta per liberarci da questo immaginario fosco! Perché celebrando l’Eucaristia più ci radichiamo localmente, più diveniamo universali. L’Eucaristia mi permette un’appartenenza forte e significativa a una comunità locale, qualsiasi, ovunque nel mondo, dove non sono solo un numero all’anagrafe del battesimo, ma co-protagonista assieme ad altri fratelli e sorelle. E allo stesso tempo mi fa concittadino non solo dei cristiani di altri Paesi, ma anche dei santi della città celeste, e dunque potenzialmente di tutta l’umanità, cristiani e altri: «Il mondo in un pane di altare» (W.T. Cavanaugh).
I cristiani, realizzando il corpo di Cristo, partecipano a una pratica che progetta una vera «anarchia», una rottura con un certo modo di pensare. Dove si sperimenta il dono gratuito ricevuto e l’impegno a esserlo per gli altri. Una comunità che riporta la periferia, i poveri, al centro. Anzi, con un centro, Cristo, che è dappertutto. Dove si relativizzano non solo i confini geografici, ma pure quelli temporali: se l’Eucaristia è allo stesso tempo memoriale, all’indietro, ma anche operativo anticipo di futuro, in avanti. Già, andiamo a Messa anche per immaginare un altrimenti possibile.
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