Liu Ye, il racconto dipinto
«Raccontami una storia!». Quante volte abbiamo espresso o esaudito questo desiderio. La narrazione allunga la vita, dicevano gli antichi. E Liu Ye questo lo sa benissimo. Nella sua personale «Storytelling» allestita nella galleria Nord della Fondazione Prada a Milano ciascuno dei trentacinque acrilici su tela (realizzati a partire dal 1992) racconta l’artista e le sue molte sfaccettature. «Ogni opera è un mio autoritratto» precisa Liu Ye. Dietro a un volto o a un oggetto, però, si cela molto più di una storia. Nato a Pechino nel 1964 – dove ha studiato alla Central Academy of Fine Arts – e vissuto per un periodo in Europa, prima di ristabilirsi definitivamente in Cina alla fine degli anni ’90, Liu Ye riesce a far convivere nei suoi quadri letteratura, storia dell’arte e cultura popolare orientale e occidentale.
Pur connesso all’attualità, non si occupa mai direttamente – come molti suoi colleghi – di temi politici ed economici. Preferisce navigare a vista in un oceano «privato» di realtà e invenzione, fiaba e ironia. A guidarlo in questo viaggio, non una bussola, bensì i grandi maestri del passato più o meno remoto: William Shakespeare, Piet Mondrian, Barnett Newman, Walter Gropius. Sia che si tratti del bardo o del fondatore del Bauhaus, Liu Ye assorbe gli insegnamenti e li rielabora. La sua arte, del resto, non rientra in nessun movimento artistico. È ragionamento, intuizione ed essenzialità. «Sebbene non sia mai diventato un artista astratto – assicura Liu Ye –, ciò che mi interessa è rendere essenziale il carattere narrativo e tendere alla semplificazione».
Il gioco dei contrasti
Ma torniamo a Milano e all’ex complesso industriale (riconvertito a uso contemporaneo da Rem Koolhaas) che ospita la mostra «Storytelling» a cura di Udo Kittelmann. Le pareti di cemento e gli ampi spazi della Fondazione Prada contribuiscono a rafforzare il divario con le atmosfere rarefatte dei quadri. Un impatto ben diverso rispetto alle piccole stanze arredate della villa Rong Zhai di Shangai, edificio d’inizio ’900 che ha ospitato per la prima volta, nel 2018, la personale di Liu Ye. I contrasti, però, non spaventano l’artista, al contrario, gettano una luce inedita sui suoi lavori.
E così, nel buio della notte, immersa in una nebbia lattiginosa, brilla una rosa gialla scappata fuori dal suo candido vaso (Flower no.1, 2011-12). Coltivato nell’antica Cina, questo fiore è divenuto nei secoli simbolo di amore e bellezza, ma anche della precarietà della vita. Liu Ye attualizza il concetto di natura morta in chiave onirica, poi passa a un soggetto più realistico. Sembrano quasi vivi i due passeri dipinti uno sopra l’altro (Bird on bird) dal maestro cinese. Amato dai bambini e ritenuto da molti l’uccello per antonomasia, dal XVIII secolo e fino alla seconda metà del XX, il passero fu perseguitato dai cacciatori, perché ritenuto nocivo alle coltivazioni di grano. La «guerra del passero» terminò soltanto a seguito della proliferazione di insetti infestanti, che costituivano la dieta dei piccoli volatili. L’ennesima dimostrazione che l’uomo non deve intervenire sugli equilibri naturali del pianeta, ma, al contrario, è tenuto a preservarli.
Come la storia ci insegna a non ripetere gli errori per costruire un futuro migliore, così i grandi artisti del passato sono il perno attorno a cui deve svilupparsi l’arte contemporanea. Giganti quali Piet Mondrian (1872-1944) e Rogier van der Weyden (1399-1464) non possono venire dimenticati. Al contrario, vanno continuamente studiati e consultati. Da qui la scelta di riprodurre su tela la copertina di un catalogo dedicato appunto all’artista fiammingo. Con Book painting no.14 (2016), Liu Ye firma un doppio omaggio all’arte antica ma anche al potere dei libri, di cui il pittore cinese è un grande fan. Sull’onda di questa passione, nel 2017 Liu Ye prosegue la sua «biblioteca dipinta» (Book paintings nos. 1,5,10,17,18). La lettura e lo studio – sembra ammonirci – sono alla base dell’istruzione. Come dice il proverbio cinese: «Leggi diecimila libri e viaggerai diecimila anni». E così, da insegnanti, i libri diventano per l’artista amici, compagni di viaggio, e – in ultima ratio – puri oggetti pittorici.
Amore su tela
Il viaggio nell’immaginario di Liu Ye continua su una tela total blue da cui si staglia il profilo di un trombettista all’opera (Chet Baker). Che lo riconosciate o meno, si tratta di Chesney H. Baker (1929-1988), considerato tra i migliori musicisti jazz di sempre, un uomo segnato dal grande talento per la musica, come pure dalla dipendenza dalle droghe. A dispetto delle apparenze, nonostante quei colori tenui e le atmosfere da sogno, Liu Ye riflette spesso sulla solitudine e sulla tragicità della vita. Lo fa anche quando dipinge un giovanissimo Romeo accasciato su un tavolo con un rivolo di sangue che gli riga la tempia. Alla sua sinistra la pistola appena usata, alla destra un vaso di rose bianche, simbolo di quell’amore innocente spezzato dal fato avverso.
Dalla drammatica unione di due anime gemelle raccontata da Shakespeare, Liu Ye passa a un matrimonio più promettente. È il 2014 quando, ispirato dalle illustrazioni dell’olandese Dick Bruna, ritrae la coniglietta Miffy fianco a fianco col suo novello sposo in giacca e papillon (Miffy getting married). La semplicità della composizione è disarmante. L’artista utilizza poche linee e uno sfondo grigio per affrontare un tema quanto mai attuale e complesso. Con i suoi mille risvolti, il matrimonio oggi rappresenta per molti giovani una sfida rischiosa, talvolta persino un’utopia.
La realtà è dura, e a volte sconfinare nella fantasia è l’unico modo per affrontarla. Liu Ye ne è ben consapevole mentre riesuma la favola della piccola fiammiferaia (The little match-seller). Sotto una tormenta di neve, la bimba intirizzita dal freddo si scalda le gote al fuoco di un cerino. Non ha nient’altro che quella pallida luce. Emarginata da una società frivola e ingiusta, la protagonista della fiaba di Hans Christian Andersen diventa così emblema di tutti i deboli e gli indifesi che furono, che sono e che saranno. «I quadri di Liu Ye non sono dedicati a un momento specifico; non sono concepiti per avere un effetto sul qui e ora – spiega il curatore della mostra, Udo Kittelmann –. Al contrario, aspirano a un continuum temporale, sempre protesi a un domani».
In attesa che questo domani si compia, le storie accorrono nuovamente in aiuto dell’artista. Naso lunghissimo… cappello a punta… Impossibile non riconoscere, appeso a un pannello della Fondazione Prada, il mitico Pinocchio! Ancora oggi il burattino nato nell’Ottocento dalla penna di Carlo Lorenzini (in arte Collodi) indica ai più piccoli – e non solo – la strada da seguire per diventare cittadini onesti e responsabili. Non dire bugie, non dare confidenza agli estranei, ubbidisci a papà… Sembrano consigli un po’ datati, ma poi, gira e rigira, funzionano sempre in ogni storia.
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