Antonio, uno di noi
È sant’Antonio. Nella Basilica del Santo da secoli ci guarda, proprio lui, semplicemente il Santo, senza aggiunta alcuna. La perfezione amorosa con cui questo frate portoghese, ex canonico regolare agostiniano, seguì san Francesco fu di tal portata che spesso fu raffigurato in coppia con il santo assisiate. Tuttavia, ancora dopo cent’anni dalla sua scomparsa, i suoi devoti nutrivano il vivo desiderio di rivederlo, incrociare i suoi occhi, ritrovarlo vivente in mezzo a loro. Nasce così, nel 1326, a novantacinque anni dalla morte di Antonio, lo stupendo affresco di scuola giottesca che ne immortala il volto.
Antonio sopraggiunge pieno di beata sollecitudine dal suo cielo, ed è come se varcasse la soglia di un ipotetico coro monastico. Nel XVII secolo l’affresco venne incorniciato da una tenda, oggetto scenografico che, a partire dal XVI secolo circa, voleva significare la pesantezza della vita e la conseguente richiesta d’esser risollevati da un intervento divino.
Così i due devoti (forse due terziari), eternamente inginocchiati, rappresentano tutti noi che, gravati dalle preoccupazioni quotidiane, chiediamo l’aiuto del Cielo per intercessione del Santo.
Da par suo, sant’Antonio, benedicente, tiene in mano il libro del Vangelo o, se si vuole, della Regola, la quale, per Francesco, altro non era che il Vangelo calato nella vita. Ciò che il Santo tiene in mano è la forza, il motore propulsivo della sua santità e la sorgente della sua potente oratoria. E, mentre stringe a sé il prezioso libro, ci guarda quasi a invitarci a farne, come fu per lui e per san Francesco, il compagno di viaggio, il vademecum insostituibile dentro le vicende della storia.
Mentre si contempla l’affresco, ci si sofferma volentieri sul particolare curatissimo della cintura. I tre nodi del cordone francescano ci raccontano i voti del Santo: castità, povertà e obbedienza. La curiosa vaporosità del ciuffo finale della corda (il «cingolo») che si adagia sulle pieg
Tradizione e realtà
Ciò che sorprende, però, è come, nonostante la totale assenza di mezzi quali macchine fotografiche o cineprese capaci di immortalare senza sbavature l’effigie di una persona, la fisionomia del Santo sia stata memorizzata con grande precisione. Basterebbe digitare la scritta «sant’Antonio nell’arte» in un qualunque motore di ricerca, per verificare in quanti e quali modi sia stato rappresentato Antonio. Eppure qui, a un secolo di distanza, i suoi caratteri somatici sono veritieri e precisi.
Lo sappiamo con certezza noi, uomini e donne del XXI secolo, per i mezzi che abbiamo a disposizione. Non meno di allora, anche gli odierni seguaci di Antonio, frati e fedeli, hanno infatti desiderato vedere il suo volto e, pur avendo sotto gli occhi questa vera effigie del Santo, hanno voluto affidarsi alla scienza per ricostruirlo. Così, nel 2014, un gruppo di scienziati brasiliani del laboratorio di Antropologia e odontologia forense di San Paolo, guidati dal ricercatore Cicero Moraes, ha ricostruito in 3D, partendo dal calco del cranio, le vere fattezze di Fernando di Lisbona, ovvero sant’Antonio di Padova. Si è rivelata così ai nostri occhi una fisionomia sorprendentemente simile a quella del nostro autore trecentesco.
E si è trovata quindi conferma al fatto che l’iconografia tradizionale, con il moltiplicarsi delle opere dedicate al Santo, aveva inquinato le tracce, rendendo erroneamente sospetta la dicitura di questo antico affresco che rivendicava appunto come «vero» il ritratto del Santo. A conferma della veridicità dell’opera di cui stiamo parlando, anche la presunta causa della morte di Antonio, che pare sia stata l’idropisia, malattia che causa un diffuso gonfiore, a dispetto di molta iconografia che voleva il Santo dal volto allungato e, talora, emaciato.
Ma se la tecnica ci ha restituito con una grande approssimazione il vero volto del Santo, non è per nulla riuscita a trasmetterci la sua carica spirituale. Cosa invece riuscita all’antico devoto di sant’Antonio, il quale, con i suoi colori terrosi, non solo è rimasto fedele alla reale fisionomia, ma è pure riuscito con l’ispirazione dell’arte a ridonarci in tutto e per tutto quell’aura di mistero e di grazia che accompagnava la presenza di Antonio.
Ben più di una veridicità storica, l’affresco trecentesco ci offre la verità mistica di una presenza che è rimasta intatta con la sua carica spirituale per quasi otto secoli. È rimasta nelle grazie ricevute, nella fede della gente e in una testimonianza di vita risorta che rende Fernando di Lisbona, ancora oggi, uno di noi.
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