Alex Langer e la lettera a san Cristoforo
Il 3 luglio 1995, venticinque anni fa, si tolse la vita nei dintorni di Firenze Alex Langer, amico mio e di tanti, una delle più luminose figure di militanti degli anni Sessanta e seguenti. Capitini non amava la parola «militante» che sapeva di militare e preferiva parlare di «persuaso», nel senso in cui la intendeva un giovane e geniale filosofo goriziano morto anche lui suicida a un’età molto più giovane di quella di Alex, nel 1910 a 23 anni, dopo aver scritto uno dei libri fondamentali della filosofia del Novecento, La persuasione e la retorica. Per intenderci, un persuaso era stato, secondo lui, Socrate, e un retore Aristotele; e di Socrate ce ne sono ben rari, nella storia del pensiero umano (e primo tra tutti Gesù di Nazareth) mentre i retori sono milioni.
Langer è stata una delle più limpide figure di persuaso che ho avuto la fortuna di conoscere. Era nato a Vipiteno (Alto Adige, o meglio Sud Tirolo) nel 1946, e si era mosso con agilità tra due lingue e due culture, e per tutta la vita ha continuato a far da ponte tra parti e culture che si fronteggiavano, in particolare negli anni delle lotte intestine alla Jugoslavia in sfacelo. Il suo scritto più amato, dei tanti bellissimi che ci ha lasciato (raccolti dagli amici in Il viaggiatore leggero, Sellerio) è una «lettera a san Cristoforo», che andrebbe studiata nelle scuole: una luminosa riflessione sul dilemma ecologico che oggi particolarmente ci angoscia di fronte ai disastri che abbiamo già vissuto e che abbiamo contribuito a provocare.
Diceva Alex a san Cristoforo che «ci vorrà una spinta positiva. Più simile a quella che ti fece cercare una vita ed un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esperienza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la tua decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della “conversione ecologica” oggi necessaria». Il dialogo tra le parti divise è alla base di ogni civile convivenza, ma Alex vi aggiungeva l’indispensabilità del dialogo con la natura, col vivente tutto, e ha continuato a cercare e praticare momento per momento, fino a morire delle tante tensioni a cui quest’azione, frustrata dalla politica e dagli interessi particolari.
Ma ha voluto esserlo sempre, da italiano di confine e tra due lingue, da cattolico amico dei protestanti, da borghese dentro lotte sociali antiborghesi, da pacifista in un contesto bellicoso. Chi l’ha conosciuto sente oggi più che mai la sua mancanza, e non può non rileggere senza commuoversi la sua lettera di congedo dal mondo: «I pesi mi sono diventati insostenibili, non ce la faccio più». Aveva chiesto troppo alle sue forze? O siamo noi che non gli siamo stati vicini, e che abbiamo chiesto troppo poco a noi stessi?
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