Il partigiano Ivan
Nei giorni in cui si abbattevano o si imbrattavano le statue (di personaggi discutibili ma ognuno di noi, alla fine, è discutibile) ho pensato a una piccola sconosciuta lapide. È sulla parete di una cappella diroccata, in una piccola valle laterale dell’Arno, alle porte di Firenze. La località si chiama Citerno, poche case a quattro chilometri dal paese di Compiobbi. Ho vissuto lì vicino, i mesi della mia quarantena.
Vidi subito quella lapide: ben visibile fra l’edera che abbracciava il muro superstite della chiesetta. Vi è scolpito questo ricordo: «Qui il 5 agosto 1944 la turpe ferocia dei banditi nazifascisti ha ucciso un partigiano russo già ferito che combatteva con i fratelli italiani. Massacrava sette civili inermi e mitragliava diciassette partigiani. La volontà del popolo deporre a ricordo dei martiri. Il 5 agosto 1945».
Ho chiesto agli abitanti della valle. Quasi tutti giovani. Nessuno sapeva a cosa si riferisse quella lapide. Io volevo saperlo. Mi aveva colpito quel «partigiano russo che combatteva con i fratelli italiani», ucciso dai nazifascisti in quel giorno d’estate del 1944. L’anno dopo, guerra appena finita, la gente della valle volle quella lapide a ricordo. Cos’era accaduto? A cosa si doveva l’urgenza di una gratitudine? Nessuno sapeva dirmelo.
«Anche la memoria scritta sulla pietra scompare», mi dice malinconico un amico, storico della resistenza. Quel 5 agosto del 1944 non è un giorno qualsiasi per Firenze: il giorno prima, il 4 agosto, gli Alleati erano arrivati a Porta Romana, erano nell’Oltrarno Fiorentino. La città stava per essere liberata. I partigiani, a Nord dell’Arno, cominciarono a scendere verso la città: volevano entrarvi nel centro storico prima degli americani.
Il partigiano russo è Ivan. Magari era davvero il suo vero nome. «Vi erano molti combattenti russi fra i partigiani – mi rivela l’amico storico –. E si chiamavano tutti Ivan». Erano prigionieri di guerra, liberati dopo l’8 settembre. Non potendo raggiungere la Russia, si erano uniti ai partigiani. Ivan era piccolo, robusto, dalla pelle olivastra. Quel 4 di agosto, era assieme a due compagni italiani. I gruppi partigiani stavano scendendo dalle colline, cercavano di attraversare linee tedesche per raggiungere Firenze.
I tre partigiani si accorsero di un posto di osservazione nazista. Decisero di interrompere le loro comunicazioni con il comando e di assalire la postazione. Fu una scaramuccia, un capitano tedesco venne ucciso, Ivan rimase ferito alle gambe. Non poteva fuggire. Gridò ai suoi compagni di andarsene, lui non aveva più speranze. Venne catturato e trascinato fino al comando tedesco. Venne torturato per tutta la notte. Intanto, i nazisti rastrellavano i casolari della valle, imprigionarono gli uomini, li minacciarono, volevano fucilarli.
Quarantotto ostaggi caddero nelle loro mani. In gran parte sfollati dal fronte della guerra. Il 5 agosto vennero radunati davanti alla cappella di Citerno. Era già diroccata. Gli uomini vennero obbligati a costruire una forca e a scavare una fossa. Ivan fu portato fino a lì sopra un carro. Un soldato lo sorreggeva in piedi. Accadde tutto in fretta: il partigiano russo, già ferito, venne impiccato. Un contadino, ancor oggi, ricorda gli occhi chiusi dell’uomo e il movimento delle sue mani.
Un ufficiale tedesco mise il cappio al collo anche a un ostaggio, si fece fotografare. E poi urlò: «Se il russo non avesse confessato di aver ucciso lui il nostro capitano, vi avrei fatto impiccare tutti». Il corpo di Ivan rimase appeso per tre giorni. Gli abitanti della valle furono costretti a sfilarvi davanti. Alla fine venne sepolto al bordo della strada. In quei giorni si consumarono altri eccidi nelle campagne vicine, gli altri caduti che la lapide ricorda furono accomunati nello stesso tragico destino di lotta e di libertà.
Firenze venne liberata l’11 di agosto, partigiani e alleati passarono l’Arno attraverso il Corridoio Vasariano e le pescaie. Si ricongiunsero con i partigiani scesi dalle colline. La città fu la prima a essere amministrata da subito da una giunta nominata dal Comitato di Liberazione Nazionale.
La gente della valle non dimenticò Ivan. Volle subito quella lapide. Ritrovo una foto del 1946, del 5 agosto del 1946: i contadini sono lì, con le bandiere e la banda. Per il fratello russo. Che venne sepolto nel cimitero di Settignano, paese delle colline fiorentine. Anni dopo sarà trasportato alla Cappella dei Partigiani al cimitero di Rifredi, quartiere popolare di Firenze. Purtroppo la sua è una delle ventisette tombe senza nome. Come vorrei che qualcuno avesse avvertito la famiglia del coraggio di Ivan.
I ragazzi della valle, il 25 di aprile di quest’anno, giorni di pandemia, senza niente sapere di Ivan e dei suoi compagni, sono andati a ripulire quella lapide.