21 Maggio 2020

Ti rimiro

Nella campagna fiorentina, sopra una fonte dove un tempo gli abitanti lavavano i panni, c’è una lapide in marmo con su scritto «Ti rimiro»...

Lapide in marmo con su scritto «Ti rimiro».

Ho trascorso le settimane, che sono diventate mesi, dell’isolamento in una valle alle porte di Firenze. Case coloniche, olivi, pascoli, bosco. Un esilio privilegiato, lo riconosco. Vicino alla casa che mi ha ospitato, c’è un cascinale. Vi abita una donna pastore. Nel suo campo c’è una sorgente e un lavatoio. Sopra la fonte, qualcuno, nel 1919, murò una piccola lapide. Utilizzò il marmo, pietra pregiata. E vi scolpì due parole: «Ti rimiro». Mise la data: 1919. La guerra era appena finita. E forse quel soldato, scampato al massacro, era appena tornato a casa. Quelle due parole sono state la mia curiosità di questo tempo sospeso. Nessuno ha saputo darmene una spiegazione. La pastora è arrivata qui negli anni ‘80 e la lapide era lì.

Un vecchio contadino è sbrigativo: «Forse era il nome di uno che ha vissuto qui. O, forse, era un luogo conosciuto così dai cacciatori».

Ma magari, è un’altra storia.

Il soldato, in quell’inizio di anno, fece di corsa gli ultimi chilometri della sua valle. La guerra era finita da pochi mesi. E lui ricordava una ragazza. Quattro anni che non la vedeva. Eccola, è lì. Alla fonte. Sta lavando i panni. E basta uno sguardo. Un «rimirarsi»… pochi mesi dopo sono marito e moglie e lui va dal miglior artigiano del paese e chiede di scolpire quella lapide. Vuole che sia di marmo.

Una mia amica, dopo che le ho raccontato questa storia, mi ha scritto: «Il fratello di mia nonna sopravvisse alla guerra. Era uno dei ragazzi del ‘99. Tornò a casa e si invaghì di una giovane. Mi raccontò che ogni giorno faceva chilometri in bicicletta per raggiungerla, per andare a «rimirarla» alla finestra del suo cascinale. Usò proprio questo verbo: «rimirare». I due ragazzi si sposarono e andarono a vivere in Libia.

E se i due ragazzi fossero stati alpini? Forse conosceva un canto alpino. Un testo scritto nel 1818. Non ne ho ricostruito la storia, ma è il racconto di una ragazza. Si chiama Violetta: da giorni si chiede perché quel ragazzo, sempre disteso sul prato, la guardi con insistenza. Si avvicina: «Perché tu mi rimiri, Gingin d’amor,/Gingin d’amor ?/- Mi ti rimiro perché tu sei bella…». Il ragazzo vorrebbe convincerla ad andare con lui in guerra. E la ragazza lo sberleffa: in guerra con ci vuole andare. E non per paura: ma perché «si mangia male e si dorme per terra».

Il mio soldato, mentre stava tornando a casa canticchiava solo quel verso: «Ti rimiro perché sei bella». E dopo l’oscenità della guerra, nacque un piccolo amore nella valle. 

 

 

 

 

Data di aggiornamento: 21 Maggio 2020
Lascia un commento che verrà pubblicato