Italiani a Canberra
Lasciare il proprio Paese e trasferirsi dall’altra parte del mondo a 69 anni? È quello che ha fatto Luigi Catizone assieme alla moglie, diventando residente permanente australiano nel 2015. Da qualche anno abita stabilmente a Canberra per stare vicino alla figlia e alle nipotine. Il medico nefrologo «bolognese d’adozione ma calabrese d’origine», è riuscito in poco tempo a inserirsi nella piccola comunità italiana della capitale australiana, entrando a far parte dei direttivi della Società Dante Alighieri e del Compitesi. Proprio grazie al supporto di questo ente, Catizone ha lavorato per tre anni raccogliendo le storie di 35 italo-australiani, ora pubblicate in un volume, in italiano e in inglese, dal titolo Storie di Italo-australiani di Canberra.
Le vite degli emigranti degli anni Cinquanta e Sessanta che Catizone si è trovato spesso ad ascoltare lo avevano colpito. Sono le stesse che riecheggiano in tutti gli angoli del Paese, una narrazione che ha segnato un’intera generazione: un’infanzia e una giovinezza di stenti e ristrettezze nell’Italia del Secondo dopoguerra; un viaggio oltreoceano (quasi sempre in nave) intrapreso con spirito d’avventura o per disperazione; le difficoltà dei primi tempi in una terra di cui si sapeva poco, spesso nemmeno la lingua; la forza e la tenacia indispensabili per farsi strada e raggiungere i successi e il benessere tramandato ora a figli e nipoti. Più Catizone ascoltava i racconti, più rifletteva sull’importanza di registrare e tramandare queste memorie. «Mi ero reso subito conto che c’era un patrimonio umano, storico e sociale enorme che, con il passare degli anni, correva il rischio di andare disperso. E bisognava trovare il modo di conservarlo», scrive nella prefazione del libro.
Dopo aver vinto l’iniziale diffidenza, Catizone è stato accolto in casa e gli sono stati «consegnati» ricordi ed emozioni. Ha registrato senza interruzioni i racconti, includendo gli intercalari dialettali e le pause per un caffè. Hanno preso parte alle sessioni anche coniugi e figli. Con «precisione certosina» ha poi trascritto le testimonianze, le ha riviste con i diretti interessati e, una volta ottenuta l’approvazione, le ha fatte tradurre da alcuni volontari. «Non è un trattato di sociologia – conclude – ma un omaggio a queste persone che hanno lavorato giorno e notte, contribuendo notevolmente allo sviluppo dell’Australia, e a tenere alto l’onore dell’Italia all’estero».
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