18 Febbraio 2020

Il Novecento rivive all'M9

Un museo interamente digitale per raccontare il «secolo breve» a tutte le generazioni. È l’M9 di Mestre, un distretto culturale firmato dalla Fondazione di Venezia.
L'ingresso dell'M9 a Mestre.
L'ingresso dell'M9 a Mestre.
© Alessandra Chemollo

Per molti è il secolo delle guerre mondiali e dei totalitarismi, il secolo dello stato sociale e della democrazia. Ma il ’900 è anche il tempo di chi lo ha vissuto. E allora, quale miglior modo di raccontarlo se non attraverso le immagini di operai e contadini, casalinghe e scolari, militari e artigiani? Parte proprio dalle persone il Museo del Novecento di Mestre per raccontare cento anni di sfide e progressi.

Persone sono i nostri nonni, genitori e zii. Persone siamo noi e le centinaia di visitatori che ogni giorno esplorano i 2.600 metri quadrati di via Pascoli 11 farciti di video e installazioni (oltre sessanta distribui­te su due piani). Sì, perché l’M9 è forse il primo museo italiano completamente multimediale dedicato all’Italia del XX secolo, un distretto interattivo che sa parlare a tutte le età e che va consultato come un’enciclopedia.

Non a caso, a fine dicembre il museo ha attivato gli abbonamenti con accesso illimitato: all’M9, infatti, non si smette mai di imparare, ogni volta è un viaggio diverso, da ascoltare, guardare, toccare. Ne sanno qualcosa i 70 mila ospiti che nel 2019 hanno visitato la struttura, come pure i mille accorsi a Mestre lo scorso 1° dicembre per festeggiare il suo primo compleanno.

Progettato dalla Fondazione di Venezia, questo polo culturale è molto più di un contenitore di dati (oltre 6 mila foto digitalizzate, 820 video, 500 materiali a stampa, 400 file audio, dieci ore di filmati). Per questo, a fianco dei percorsi permanenti suddivisi in otto sezioni tematiche, l’M9 propone mostre (al terzo piano) ed eventi collaterali (conferenze, proiezioni, minifestival). Tante modalità, un unico obiettivo: fare buona divulgazione storica ampliando il punto di vista del pubblico.

Come eravamo

Un bambino afferra con avidità un ciuffo di spaghetti dal piatto e lo fa penzolare dalla mano direttamente in bocca sotto lo sguardo di disapprovazione di una neo mamma bimbo munita. La scena – rigorosamente in bianco e nero – si svolge in un cortile affollato, tra un soldato che si appresta a partire per la guerra e una famiglia in ghingheri che attende un po’ imbarazzata lo scatto del fotografo. È il 1901 e quelle persone potrebbero essere i nostri antenati. L’immagine scorre, lo scenario cambia.

Dal casale di campagna ci spostiamo all’interno di una cucina domestica. Ci sono Clara, adolescente che lavora in una filanda, e Masaniello che di mestiere fa il muratore. Una cosa salta subito agli occhi: la giovane età dei protagonisti. Agli inizi del ’900 su 33 milioni di italiani il 43 per cento ha meno di 20 anni e solo il 10 per cento supera i 60. Le famiglie sono molto numerose e si sfamano col sudore della fronte nei campi o nelle fabbriche.

Mezzo secolo dopo il cambiamento è lampante. Alla nostra destra, va in scena il 1961. In una piazza di paese salutiamo Nives, coltivatrice 37enne, e partiamo per il mare con Ferruccio, medico 54enne, e la sua famiglia. Mentre Edoardo Vianello intona la sua hit Pinne, fucile ed occhiali, lo sfondo cambia ancora. Gli italiani negli anni Sessanta sono 50,6 milioni, e gli over 60 rappresentano il 14 per cento della popolazione totale. Niente a che vedere comunque con i dati del XXI secolo.

Giriamo ancora la testa di 90 gradi ed eccoci immersi nel 2011. Attorniati da condomini e padiglioni fieristici, sfilano manager, artigiani e professionisti di mezza età, 50enni disoccupati e pensionati ultra 80enni. «Che fine hanno fatto i giovani?», viene da chiedersi. Forse hanno preso il volo verso Paesi più dinamici e promettenti. D’altra parte, su 59,4 milioni di italiani, nel 2011 il 27 per cento ha superato i 60 anni e solo il 18 per cento non ne ha compiuti ancora 20.

Alle pareti testi, grafici e illustrazioni offrono dati e spiegazioni in risposta alle tante domande che si affollano nella nostra mente. Come e perché dall’Unità d’Italia la popolazione italiana è cambiata così tanto? Quanto ha influito sulla nostra identità il processo migratorio e quale futuro ci attende ora che la fuga di cervelli all’estero sta impoverendo sempre più il nostro Paese?

La risposta ancora una volta va ricercata nel passato: tra le immagini di chi ha affrontato mesi di viaggio per nave pur di ricominciare Oltreoceano. O di chi ha lasciato la propria casa nel Meridione in cerca di lavoro nella Pianura Padana. Dal 1911 al 1971 il fenomeno migratorio interno continua ad aumentare. Se tra il 1955 e il 1973, 4 milioni di persone si spostano da Nord a Sud, dal 1981 ogni anno circa 1,5 milioni di italiani cambiano residenza. 

Italiani migranti

La storia è fatta di numeri, ma anche di storie. Vedere per credere il planisfero interattivo che racconta le emigrazioni da fine Ottocento a oggi. Mentre seguiamo con gli occhi le frecce che si moltiplicano sulla mappa e collegano i continenti, una voce s’insinua piano nelle orecchie. «È stata dura, c’è voluto un mese di viaggio schiacciati come sardine – racconta uno dei 200 mila veneti emigrati in Brasile tra il 1887 e il 1902 –. La vita è durissima anche qui
 la volontà del padrone è legge... non riesci mai a mettere da parte due schei (soldi, in dialetto veneto), ma alla fine si sta meglio qui che nel Polesine... a casa certo non torneremo».

Sempre più immersi nelle vicende dei nostri antenati, ci mettiamo letteralmente nei loro panni grazie agli «specchi magici». Basta entrare in una cabina per venire subito trasportati indietro nel tempo. Oltre lo specchio, una fotocamera ci scatta un primo piano, ed ecco che in un istante siamo una dama degli anni ’20, un ufficiale in divisa, un manovale diciottenne in tuta da lavoro o una giovane impiegata in tailleur. Cambiano gli abiti e le mode, evolvono i canoni estetici e la statura (in quattro generazioni un aumento medio di 8 centimetri), ma il Dna italiano resta e si rafforza.

Mentre uno schermo fa il punto sulle nascite e le morti nel XX secolo, proseguiamo il viaggio nel Novecento analizzando il ruolo della donna, l’alimentazione, la salute e la medicina. Dai trasporti all’innovazione, dalla riforma agraria al terzo settore, passando per dialetti, religioni e guerre. Anche se il Novecento è concluso e non c’è museo che possa davvero farlo riviere, l’M9 ci va molto vicino. Supportata da una rete di quasi 150 archivi e biblioteche italiane e internazionali, oltre che da un team di quaranta esperti di storia a livello nazionale, questa oasi di cultura e tradizione è il luogo giusto da cui partire per non scordare chi eravamo e per scoprire chi saremo. 

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Data di aggiornamento: 19 Febbraio 2020
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