Soffia il vento
Le passeggiate in montagna, anche immerso nel foliage autunnale, sono sempre state per me fonte di piacere, fisico e spirituale. Spesso anche di pensieri e riflessioni che ciò che vedevo attorno a me o provavo in me mi hanno sempre donato con generosità. Questa volta c’entra il vento, di questa stagione certo né tiepido né lieve. Anzi, che «fischia», nella miglior tradizione musicale alpina.
A una svolta del sentiero, probabilmente in corrispondenza di una valletta celata dal bosco, annunciato dal gemere e dall’ancheggiare degli alberi, si è precipitato su di me con forza, riuscendo persino a darmi una spintarella. E che non sono certo un peso leggero da smuovere! A parte l’iniziale e inquietante sensazione di perdita di controllo, la faccenda è persino piacevole. Tant’è che poi, che detto vento se ne prosegua la sua corsa altrove e senza di te, ti sembra un affronto personale. Ma perché di questa uscita montana mi è rimasto in memoria solo il file del vento?
C’ho pensato e ripensato. Sarà per via del francescano «laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento»? O del vento Matteo, nell’indimenticabile racconto di Dino Buzzati, Il segreto del bosco vecchio (e nell’altrettanto indimenticabile film che Ermanno Olmi ne fece, con un impensabile Paolo Villaggio)? O, anche, del refrain della famosa canzone di Bob Dylan, «the answer, my friend, is blowin’ in the wind», la prima che imparai con la chitarra? Per non dire del «sussurro di una brezza leggera» che segue al «vento gagliardo» sull’Oreb, di fronte al profeta Elia (1Re 19,11).
Non può essere solo questo… E, infatti, mi è tornato poi in mente un passaggio del Libro tibetano dei morti (Bar-do thos-grol; non significa proprio ciò che abbiamo tradotto in italiano, ma non importa), che mi era capitato una volta di leggere e avevo diligentemente annotato: «Questa vita è inafferrabile come il vento. / Il vento non può essere catturato dagli uomini».
Nel mese più «funereo» dell’anno, ho pensato che la morte non è altro che la stessa vita dal momento che non ti riesce più di trattenerla, di tenerla stretta tra le mani. Di farne ciò che vogliamo e di governarla secondo i nostri scopi. È la stessa vita che riprende a soffiare libera, scivolandoci tra le dita come sabbia mai afferrabile una volta per tutte. Una vita, a questo punto più che mai, che va oltre i nostri piccoli desideri, più audace della nostra vigliaccheria, più ampia delle diottrie dei nostri occhi. È la vita quando finalmente abbiamo terminato i nostri pretestuosi e limitati discorsi su di lei: dopo il nostro «punto e a capo» è terminato un capitolo, non il libro.
La chiamiamo sconsolatamente «morte», parola e paura che ci siamo inventati ma solo per nostra consolazione: perché ce la dobbiamo un po’ incartare e portare via, come si suol dire. Perché ci è comunque difficile accettare di non esserne noi i protagonisti assoluti, abili a definirla anche nei minimi particolari e, soprattutto, nella sua direzione obbligatoria. Ma la vita riafferma se stessa prima o poi, il suo venire da lontano, dall’infinita misericordia del Creatore, e il suo puntare ancor più lontano, nel cuore stesso di Dio! La morte è forse proprio la rivincita della vita?! Godendoci e lasciandoci trasportare da questo «vento»…
Tra la morte e la vita corre la stessa distanza che c’è tra l’ebraico hebēl hebēlim, il «soffio di vapore nebbioso» del Qoelet (Qo 1,2), e il «vento che si abbatte impetuoso» il giorno di Pentecoste (At 2,2), infiammando passioni e desideri, impegni e scelte. Un ricordo per tutti i nostri fratelli e sorelle defunti, che se ne stanno danzando gioiosi nel vento di Dio!