Un tentato suicidio a New York. Un uomo di colore salva un bianco che si stava gettando sulle rotaie della metro, del Sunset Limited (letteralmente «tramonto limitato», come l’arresto della caduta di un sole). Lo invita nel suo misero monolocale, gli offre caffè e cibo e i due trascorrono chiacchierando gli 87 minuti del film. Da soli. Tra loro un tavolo rotondo di legno e sul tavolo una Bibbia. Non sapremo i loro nomi. Sono il «bianco» e il «nero» nel romanzo, come in una partita a scacchi, in cui c’è in gioco la morte, se non si trova un senso per continuare a vivere.

Il nero, un ex carcerato e alcolista convertito al cristianesimo evangelico, sa di avere quest’unica chance: convincere qui e ora il bianco, un professore scettico e ateo, a cambiare idea. Il mondo, dice il professore, è diventato invivibile e se cerchi di cambiare le cose e soprattutto gli esseri umani, ottieni l’effetto contrario. Le cose non si possono mettere a posto e i tentativi, in buona fede, di cambiarle le peggiorano. Il ragionamento è lucido, coerente, argomentato. Dopo le dittature e le guerre del ’900, sono venuti meno i valori che fondavano la civiltà, come libri, musica, arte.

Resta solo un diritto: ridurre al minimo il dolore di vivere e cercare di dissolversi nel nulla, il prima possibile, con la morte. A chi si considera il tuo angelo custode e millanta sogni di salvezza religiosa o di liberazione laica, chiedi di lasciarti in pace. Conviene rassegnarsi: la felicità è contraria alla condizione umana, la quale è «un campo di lavori forzati da cui ogni giorno si estraggono a sorte dei detenuti – completamente innocenti – perché vengano giustiziati». «Tormenti, tradimenti, lutti, sofferenza, dolore, vecchiaia, umiliazione, malattie orrende e lunghissime». È questo che ha tirato fuori Dio, il Dio dei credenti, all’alba del mondo?

Il miracolo della persuasione

Il nero assedia l’aspirante suicida, lo avvicina: «Tu, zuccherino», «allora professore che cosa devo fare con te?». Il bianco resiste, incredulo, disincantato; mantiene il «lei» («perché lei continua a chiamarmi zuccherino?»); è senza amici («meglio non avvicinarsi troppo gli uni agli altri»); non ha un credo. Ma il nero non demorde. Non si erano mai visti prima, eppure non è un dialogo tra sordi o stranieri. Si toccano e sfidano su nervi scoperti, su cicatrici urenti, su attese anonime ma pulsanti. Il nero spera che il bianco non lo dimentichi. Non dimentichi quello che un nero ignorante e testardo è stato disposto a fare per lui. Il nero mette alla prova nientemeno che il proprio Dio, perché solo un Dio può fare il miracolo della persuasione, aprire gli occhi ai ciechi, mondare i lebbrosi e annunciare una buona notizia, finalmente!

Il cinema è un incontro tra lo sguardo di un regista, che vede il mondo con occhi nuovi, e lo sguardo di uno spettatore, che ha gusti, passioni e attese nascoste. L’incontro può scadere nella rissa o trasformarsi in un’alleanza. Balenerà o no il lampo di una scrittura incarnata in immagini filmiche in grado di scuoterci dalla malinconia? Il nero chiede al cielo queste parole, perché potrebbe ritrovare il bianco, proprio quello stanco professore bianco, davanti allo stesso treno, il giorno dopo. Dammi Dio le parole giuste! Dalle a me come le hai date a lui, in questa conversazione estrema. Mantieni la tua parola o Dio, come la mantengo io, in ginocchio, sulla porta della mia povera casa, tra le lacrime, mentre alzo la testa e vorrei piegare l’aria e le nuvole e la luce, perché sono il custode di questo mio fratello, che sta male dentro. E noi spettatori sentiamo di essere entrambi i personaggi e che il nostro teatro interiore è abitato da un interminabile, incerto, deludente e assieme eccitante colloquio, in cui ne va di tutto e del «niente».

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