Fraternità, altro nome della politica
Tra tutte le scienze sociali, la politica è quella che oggi sembra essere più in crisi. Perché? Come restituirle fiducia? Ne abbiamo parlato con il professore Antonio Maria Baggio, politologo e professore ordinario di filosofia politica presso l’Istituto universitario «Sophia» di Loppiano (Firenze).
Msa. Perché oggi un cristiano dovrebbe occuparsi di politica?
Baggio. È una questione di coerenza e, precisamente, di «coerenza eucaristica». La vita cristiana consiste in una partecipazione intensa, completa, alla vita divina. Questo è possibile perché Dio si è incarnato e, in Gesù, ha fatto Sua la nostra esistenza. L’Eucaristia è la realtà che esprime visivamente il desiderio di Dio di unirsi a noi. Quando eravamo ragazzi, tanti anni fa, un amico mi chiese: «Perché la Messa finisce sul più bello? Tante parole per arrivare alla comunione e poi perché ce ne andiamo subito?». La risposta l’ho capita più avanti, quando ho sperimentato quanto sacrificio richiede l’impegno pubblico; finisce la Messa dentro le mura della chiesa, perché comincia la nostra messa «fuori», quando cerchiamo di essere, per gli altri e per il Creato, quello che l’Eucaristia è per noi. Il nostro «stare con Dio» avviene nel mondo, insieme agli altri esseri umani, a continuazione dell’opera di Cristo. L’impegno in politica è parte integrante dell’essere cristiani. La dottrina sociale, che ci guida in tale impegno, è l’espressione più matura del catechismo.
In che rapporto stanno, secondo lei, fraternità e politica?
La tradizione biblica ci dà informazioni molto chiare su questa relazione, attraverso il racconto che riguarda i primi due fratelli. Caino rifiuta suo fratello: è il primo omicidio, un «eccesso» assoluto, che scatena tutte le possibilità del male e Caino se ne rende conto: ora, egli comprende, «chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere». Il Signore però interviene e pone un «segno» su Caino, affinché nessuno gli faccia del male. È la comparsa, per la pima volta, del «Non uccidere». La Bibbia racconta che Caino, sotto questa protezione, continuerà a vivere e fonderà la prima città di cui la Bibbia parla: Enoch. Una città significa darsi delle leggi, accettare una vita ordinata tra persone di pari dignità. Caino, nella tradizione biblica, è l’iniziatore della politica. Egli riceve la possibilità di vivere la fraternità che, dapprima, aveva rifiutato. Non sarà più, però, una fraternità basata sul legame di sangue, ma sulle leggi. La fraternità è ciò che permette il costituirsi di una comunità di uguali, aventi la libertà di compiere scelte diverse, all’interno di ciò che è legale. La fraternità dunque custodisce la possibilità dell’uguaglianza e della libertà, è la condizione della politica. E questo vale per la Bibbia, come per la rivoluzione francese del 1789 che propone il famoso «trittico»; e vale come sfida per la politica dei nostri giorni.
Quale politica richiede il nostro tempo così complesso?
Richiede una politica che costruisce i legami sociali dal basso, con l’impegno dei cittadini. Nella nostra società non c’è solo egoismo. Ci sono solidarietà, generosità, ideali vissuti: senza questo impegno diffuso e costante di moltissime persone non potrebbero resistere neppure le Istituzioni. I cattolici hanno una grande tradizione di costruzione e di sviluppo della società, fin dai tempi dell’unità d’Italia, che fu realizzata, politicamente e militarmente, da una minoranza. Ma fu l’impegno dei cattolici, da una parte, e dei socialisti dall’altra, ad aiutare l’emancipazione economica e politica delle classi popolari nelle campagne e nelle città. Anche oggi stiamo vivendo un momento «vocazionale», una fase storica di grande fragilità politica che potrebbe ispirare – specialmente nei giovani – decisioni di impegnarsi per il bene comune, con la stessa volontà di donazione che viene richiesta per dedicarsi al malato, al povero, al rifugiato. Il «fragile» che ci chiama e che diventa, appunto, per chi ha orecchie per udirne il grido, una vocazione, potrebbe essere, come osservava Paul Ricoeur, la stessa Istituzione politica. Partendo dall’impegno sociale, si possono formare persone capaci di una politica «ricostruttiva». Nel gennaio scorso è morto il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, cattolico, riconosciuto da tutti come un costruttore, un uomo capace di unire.
La crisi legata al covid che ripercussioni ha avuto sulla visione politica del nostro Paese?
L’attuale pandemia ha provocato e provoca un dolore immenso. E come spesso accade, il dolore ci risveglia dalle finzioni e dalle illusioni, e permette di «vedere». Dal punto di vista politico, è stato come il grido: «il re è nudo». Sono venute allo scoperto tutte le disuguaglianze ingiuste, a causa delle quali persone e popoli, pur soffrendo allo stesso modo, hanno risorse molto diverse per curarsi e per proteggersi. E abbiamo potuto vedere tutti i limiti di visioni politiche ideologiche e anguste, davanti a una sfida che coinvolge tutta l’umanità. Dobbiamo ritornare a una politica capace di concepire grandi disegni di collaborazione mondiale. Papa Francesco è uno dei pochi leader mondiali che da anni sviluppa un pensiero «globale», che vede la situazione della singola persona, ma vede anche la rete delle relazioni nelle quali ciascuno di noi è coinvolto. Francesco pensa e agisce guardando in faccia la complessità, potendo appoggiarsi alla dottrina sociale cristiana, una delle poche grandi correnti di pensiero che, nutrita dal sangue dei martiri e dall’impegno di donne e uomini in tutto il mondo, è uscita indenne dalle crisi che hanno svuotato molte ideologie. Per questo l’autorevolezza di Francesco continua a crescere. E per questo aumenta anche il numero dei suoi nemici.
Quali sono i punti di forza e debolezza della Destra e della Sinistra italiane?
In entrambi gli schieramenti sono presenti idee esauste ma anche idee ed eredità storiche vitali, che forniscono strumenti importanti per affrontare i problemi. Io considero urgenti due fronti di impegno. Il primo riguarda un rinnovamento delle culture politiche, che richiede un grande sforzo di libertà intellettuale, la capacità di abbandonare le eredità ideologiche che non hanno più senso e di sviluppare prospettive feconde e nuove. In questo senso, la prospettiva del pensiero fraterno, della fraternità nella sua dimensione sociale e pubblica, costituisce un patrimonio al quale le diverse culture politiche possono attingere per nutrire e «purificare» le proprie idee. Il secondo è l’impegno per elevare la qualità umana, culturale e politica di coloro che si dedicano alla cosa pubblica. Si tratta di cambiare le leggi elettorali che in Italia ostacolano una effettiva libertà di scelta da parte dei cittadini. Si tratta però, anche, di assumere, a livello sociale, da parte dei soggetti sociali attivi, il compito di formare persone che arrivino in Parlamento, a prendere decisioni per il Paese, dopo avere dimostrato di saper prendere decisioni per se stessi. È folle avere nelle nostre Camere persone che hanno ricevuto il primo stipendio della loro vita solo dopo essere diventate deputati o senatori. Entrambi questi impegni richiedono una cittadinanza attiva, consapevole che esiste una dimensione politica all’interno della società, là dove si formano le persone, nascono le idee, si nutrono i valori: tutte cose che nascono nel sociale e vanno a nutrire le istituzioni.
Che futuro attende il rapporto tra Italia e UE?
L’Italia ha necessità di un rapporto collaborativo con l’Europa per almeno tre motivi. Il primo è la sopravvivenza economica. Il nostro è un Paese manifatturiero privo di materie prime: ha bisogno di una situazione di tranquillità internazionale e di essere inserito in un grande mercato regolato per comprare, trasformare e rivendere. Il secondo riguarda la situazione geopolitica mondiale, nel quadro della nuova competizione tra Stati di dimensione continentale (Stati Uniti, Cina, Russia...). Solo una UE coesa e solidale al proprio interno potrà contribuire a rinforzare le prospettive di pace a livello mondiale: l’Italia, da sola, non avrebbe alcun ruolo in questo gioco tra giganti, mentre può dare un contributo significativo all’interno e attraverso la dimensione europea. Infine, non bisogna dimenticare il grande «disegno ideale» dell’UE, al di là dei suoi limiti e incoerenze. L’idea di una Europa unita sorge all’indomani della seconda guerra mondiale, come un atto di fraternità tra popoli e Paesi che si erano combattuti fino all’annientamento, allo scopo di creare le condizioni affinché una nuova guerra non potesse più scatenarsi. Per concludere, direi che se la mia generazione ha creato famiglie composte da innamorati che venivano dal Sud e dal Nord dell’Italia e nella stessa famiglia si parlavano dialetti diversi, oggi i nostri figli costruiscono famiglie nelle quali si parlano lingue diverse. Chi può pensare di tornare indietro? Abbiamo davvero molto da fare, come italiani, come europei, come esseri umani».
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