Il signore delle stelle
L’amore per l’Italia e i legami con la sua famiglia e la sua terra d’origine, la Puglia, si sentono tutti quando Giuseppe Cataldo, nel suo ufficio al Goddard Space Flight Center della Nasa, l’agenzia spaziale americana, a poche miglia da Washington, evoca la sua vita e la sua carriera professionale. La sua passione per le stelle nasce fin da quando, da ragazzo, rimane incantato a osservare, nel cielo notturno, il firmamento, la sua magia, i suoi misteri, ma anche quell’invisibile mano di Dio che, secondo Cataldo stesso, tutto regge e governa. «Per me scienza e fede sono complementari», confessa l’ingegnere aerospaziale, tarantino di Lizzano, e con un dottorato al Massachusetts Institute of Technology. «La scienza non è in grado di rispondere a tutte le domande. Alcune sono di competenza della fede, della religione, della filosofia. Dio nella mia vita continua a darmi la possibilità di fare questo lavoro di ricerca e di scoperta, e, in questo modo, di avvicinarmi sempre di più a lui, di scoprire quello che lui ha fatto per noi». Alla Nasa l’ingegner Cataldo ci è arrivato giovanissimo, nel 2009, ad appena 23 anni. Un talento che gli americani non si sono lasciati sfuggire. Ha preso parte a uno dei progetti più ambiziosi degli ultimi anni: il James Webb Space Telescope. Il telescopio è stato lanciato il giorno di Natale del 2021. Dal 24 gennaio scorso ha raggiunto la sua orbita a circa un milione e mezzo di chilometri dalla Terra.
Msa. Quali sono gli obiettivi della missione del telescopio Webb?
Cataldo. Sono quattro: captare la luce delle prime stelle dell’universo che si sono formate circa 400 milioni di anni dopo il Big bang. Questo ci aiuterà a capire meglio l’origine e l’evoluzione dell’universo quando era come un neonato. Sappiamo che l’universo ha circa 13,7 miliardi di anni. Il secondo obiettivo è quello di studiare la formazione e l’evoluzione delle galassie per colmare un po’ di vuoti nelle nostre conoscenze, e capire come le stelle possono formare galassie; e poi da lì l’evoluzione dei sistemi planetari, ad esempio, sistemi solari come il nostro, che è il terzo obiettivo della missione. E questo ci porta al quarto obiettivo: tentare di rispondere alla domanda se ci sia vita su altri pianeti di altri sistemi stellari studiando i cosiddetti esopianeti per capirne la composizione chimica, e quindi se possano eventualmente ospitare forme di vita come sulla Terra.
Quali performance consente il telescopio Webb rispetto al suo predecessore, il telescopio Hubble?
Diciamo che sono complementari. Hubble funziona nello spettro della luce visibile, Webb in quello dell’infrarosso. Quest’ultimo potrà vedere cose che Hubble non può vedere. Webb potrà penetrare le coltri di nubi, gas e polveri interstellari facendoci scoprire quello che ci nascondono, e cioè quello che ci aspettiamo: pianeti e stelle che si stanno formando all’interno di quelle nebulose. Un altro punto di forza del telescopio Webb è la sua risoluzione ottica, molto più elevata di quella di Hubble, e quindi con una qualità delle immagini di gran lunga migliore, almeno cento volte più di Hubble, e mille volte più dell’occhio umano. Inoltre il telescopio Webb ha la capacità di notare dettagli che Hubble non può vedere. Ad esempio, se noi accendessimo una candela sul lato lontano della Luna e il telescopio Webb fosse qui sulla Terra, ebbene il Webb sarebbe in grado di captare il calore emanato da quella candela.
Lei è direttore della «Protezione planetaria inversa» di una delle missioni del Mars Sample Return. Cosa vi aspettate dal pianeta rosso?
È una delle prossime missioni verso Marte che riporterà qui sulla Terra dei campioni di roccia e atmosfera che il rover Perseverance sta raccogliendo sul pianeta rosso. In genere, noi proteggiamo i pianeti su cui atterriamo. In questo caso l’obiettivo è quello di proteggere la Terra da eventuali forme di contaminazione biologica in cui potremmo incorrere riportando qui quei campioni.
Esistono protocolli internazionali che stabiliscono questi criteri di protezione?
Sì, ci sono dei protocolli internazionali ovvero le linee guida da osservare come stiamo facendo noi in questo momento. Vorrei sottolineare, però, la componente innovativa del mio lavoro, dato che è la prima volta che riportiamo sulla Terra campioni di questo tipo. In passato sono arrivati campioni lunari e di asteroidi, ma sapevamo che quei materiali, date le condizioni ambientali, sicuramente non nascondevano forme di vita. Per quanto riguarda Marte, invece, questa possibilità non possiamo escluderla del tutto, e quindi dobbiamo approntare delle misure di protezione specifiche.
L’uomo da sempre vuole sapere se è solo, oppure no, nell’universo, e se ci sono altre forme di vita intelligenti. Se le incontrassimo, che rischi potremmo correre?
Stiamo cercando da tanto tempo forme di vita intelligenti nello spazio, ma finora non le abbiamo trovate. Del resto, anche studiare un esopianeta, cioè un pianeta di un altro sistema solare, che offra condizioni tali per cui ci siano forme di vita, richiede una mole di tempo incalcolabile. Negli anni abbiamo inviato nello spazio sonde, immagini e dati che fanno capire a eventuali altre civiltà che noi terrestri veniamo in pace e siamo aperti allo scambio delle conoscenze. Ma è anche difficile capire se ci rivolgiamo a civiltà meno o più avanzate di noi, e come queste si comporterebbero nei nostri confronti. Nel caso di un eventuale contatto, rimarrebbe la barriera della lingua. E poi come ci prepareremmo a un evento del genere, e chi sarebbe delegato, e per dire che cosa? Gli interrogativi restano tutti aperti.
Cosa vi aspettate di trovare su Marte?
Ci aspettiamo di trovare forme di vita passate. Per questo stiamo raccogliendo i campioni nei primi venti centimetri di suolo marziano che è molto secco ed esposto alle radiazioni cosmiche e solari. Ma questi campioni ci forniranno informazioni sul passato del pianeta rosso, e di conseguenza anche sulla Terra, e ci aiuteranno a capire come la vita si è evoluta, e come abbia potuto svilupparsi in certe condizioni ambientali. Si ritiene che Marte, milioni di anni fa, fosse molto simile alla Terra, quindi con acqua e con un’atmosfera. Lo scopo della ricerca della vita passata su Marte è quello di trovare analogie con la storia del nostro pianeta.
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