24 Agosto 2022

La rivolta di Bonegilla

Tra il 1947 e il 1971 Bonegilla, nel nord-est del Victoria, ospitò il più grande e longevo campo di accoglienza di migranti in Australia. Una realtà complessa di cui oggi rimangono poche baracche in lamiera.
Alcuni uomini in fila alla mensa di Bonegilla, nel 1952.
Alcuni uomini in fila alla mensa di Bonegilla, nel 1952.
© State Library of Victoria

Ancora oggi il nome Bonegilla ispira racconti, ricordi e impressioni vivide, talvolta discordanti, in chi ci è passato. La località del Victoria al confine con il New South Wales è nota perché ha ospitato il più grande e longevo campo di accoglienza di migranti in Australia, attivo tra il 1947 e il 1971. Oltre 300 mila persone di 41 nazionalità passarono per le sue baracche in lamiera, prima di iniziare una nuova vita. Il Bonegilla Migrant Reception and Training Centre accolse inizialmente i rifugiati dell’IRO, l’International Refugee Organisation (tra cui gli italiani dell’Istria) e poi coloro che usufruirono del programma governativo di immigrazione assistita e che dovevano «ripopolare» il Paese e dargli una nuova spinta economica. «Bonegilla è stata un’impresa incredibile per il governo di Canberra», spiega l’ex direttrice dell’Italian Historical Society di Melbourne, Laura Mecca. Fu il primo nel suo genere e diede il via alla creazione di strutture simili in tutto il territorio. I giovani uomini e le famiglie che arrivavano al centro ricevevano vitto, alloggio, lezioni d’inglese e assistenza nel trovare un impiego.

Ma non mancavano di certo le difficoltà: Bonegilla era un luogo poco ospitale e molto isolato, raggiungibile dopo un viaggio di tre ore in treno da Melbourne. Gli emigrati si ritrovavano «in mezzo al nulla, con estati caldissime e inverni rigidi, e bisognava camminare un’ora e mezza per arrivare ai negozi di Albury», il paese più vicino. Una scelta, quella del luogo, forse non così casuale, quasi a voler tenere a distanza gli stranieri che venivano guardati con sospetto dal resto della popolazione, per timore di affiliazioni comuniste e fasciste. Le condizioni di vita, specie all’inizio, erano tutt’altro che «accoglienti» nonostante la propaganda governativa: il campo continuava ad avere una forte impronta militare, e per diverso tempo le famiglie vennero divise. Logorati dalla situazione precaria, nel 1952, esattamente settant’anni fa, gli italiani si resero protagonisti di quella che è passata alla storia come «Spaghetti riot»: la rivolta degli spaghetti. A dispetto del nome, puntualizza Mecca, «il malcontento era nato soprattutto perché non c’era lavoro a causa della crisi economica che stava colpendo tutto il Paese, australiani inclusi».

L’ozio forzato e la delusione delle aspettative avevano scatenato la rabbia di «questi giovani che spesso prendevano in prestito soldi dalle famiglie o avevano lasciato un lavoro specializzato per l’Australia. Poi, però, arrivavano a Bonegilla dove non c’era nulla, e dovevano iniziare tutto daccapo. Sicuramente un’altra aggravante è stata il cibo: gli italiani non erano abituati a mangiare montone». I pasti serviti nelle mense comuni erano scadenti e poco vari, e c’era il divieto di prepararsi un pasto da sé. Un rapporto redatto dal direttore del campo descrisse «l’attacco» di un folto gruppo di emigrati italiani e jugoslavi che lanciarono piatti di cibo sulle pareti. L’esercito intervenne a sedare la rivolta. Ma le richieste degli emigranti furono ascoltate e alcuni di loro vennero assunti in cucina, riuscendo a ottenere prodotti come pasta, olio e pesce. Con il passare del tempo e la creazione di ostelli urbani, venne meno la necessità di Bonegilla di cui oggi rimane un gruppo di baracche in lamiera visitabili: il «Block 19».

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Data di aggiornamento: 25 Agosto 2022
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