Il prezzo della sposa
Da sempre in lotta contro la disparità di genere, la Cina appare come un gigante fragile pieno di contraddizioni, dove la politica del figlio unico discrimina le donne ancor prima di nascere: una situazione che continua a peggiorare con gravi conseguenze sociali. Qui la tratta delle spose è prerogativa di uomini facoltosi, ma serve anche a colmare quella differenza tenuta attiva da una politica statica, che perdura da oltre trent’anni. E a pagarne le conseguenze sono ancora le donne: una «carrellata» di mogli provenienti da Cambogia, Corea, Vietnam e Laos, trasformate in merce per scapoli d’oro cinesi, ai quali basta navigare in Rete per scegliere la sposa migliore. Centinaia di adolescenti, raggirate dai trafficanti sotto la falsa promessa di una vita migliore e trascinate nei vagoni per poi essere spedite al destinatario. Giovani vendute al «prezzo della sposa», il crudo valore commerciale che le rappresenta, ma anche un’illusione per i genitori, che cedono le figlie al miglior acquirente, aspettando di intascare una ricompensa.
Resta comunque il riflesso di un’usanza condivisa da religioni ed etnie: nonostante sia disapprovata dai cristiani, è recepita con alcune modifiche dai musulmani ed è ammessa persino dalla Costituzione di diversi Stati. Laddove la povertà dilaga, la donna non ha alcun diritto di imporre la sua opinione, neppure di fronte alla scelta del futuro marito, e per le famiglie più fragili concedere le giovani figlie in cambio di quel sostanzioso compenso sembra l’unica alternativa di sopravvivenza.
«I trafficanti predano per lo più ragazze vulnerabili, offrendo lavoro in Cina. Poi le vendono, per cifre che vanno dai 3 mila ai 13 mila dollari, a famiglie benestanti che cercano spose per i propri figli. Una volta acquistate, le vittime sono violentate con l’obiettivo di farle rimanere gravide rapidamente», spiega Jameel Ahmed Khan, alto funzionario della Federal Investigation Agency (FIA) a Lahore, capitale del Punjab, in India. Ed è con queste modalità che la vita della donna diventa preda di un contratto, per il quale si decide l’importo in denaro o in bestiame. «Si fa leva sulla loro disperazione, con la promessa di denaro e di un visto cinese per un uomo della famiglia», prosegue Jameel. L’accordo viene concluso con il pagamento del fatidico «prezzo della sposa» e da quel momento l’acquirente si trasforma in padrone delle facoltà procreative della moglie, con la possibilità di ripudiarla chiedendo la restituzione del prezzo pagato ma mantenendo il pieno possesso dei figli. In tal caso, le giovani spose si trasformano in clandestine, costrette a rimpatriare, per poi essere rifiutate anche dai propri genitori.
Spose per rampolli o schiave nei bordelli
Per sei anni minacce e violenze ripetute hanno fatto parte della routine di Nary, una diciassettenne cambogiana costretta ad abbandonare la sua terra e a sposare un vecchio uomo cinese. Nary è riuscita a fuggire, ma ha perso per sempre la possibilità di vedere il suo unico figlio. «È stato mio fratello a contattare i mediatori, perché le nozze avrebbero portato benefici alla mia famiglia, ma lui è sparito con la mia dote e i mediatori si sono divisi i restanti 7 mila dollari», racconta la giovane.
Uno schema che si ripete per moltissime giovani, sottoposte alla pressione di una promessa: «Dacci un figlio e ti lasceremo andare», come sostiene il report scioccante della ong Human Rights Watch, che ha dato supporto a un’altra giovane sposa, Nang Nu, quattordicenne birmana, acquistata da una famiglia per il proprio rampollo. «Guardando dal finestrino di un treno, non riuscivo a decifrare le scritte in lingua cinese e non capivo chi fosse l’uomo accanto a me», confessa Nang. Il suo accompagnatore l’aveva drogata e poi scaricata in una fabbrica di scarpe, dove Nang ha scoperto il prezzo pattuito per il suo corpo, 12.700 dollari americani, per sposare un ragazzino di 15 anni e dargli dei figli. Il risultato di cinque anni di prigionia sono stati due bambini. In seguito a un blitz della polizia, Nang è stata arrestata per immigrazione illegale e rispedita in Birmania senza i suoi figli.
Lo stesso è accaduto a Kai, costretta a convolare a nozze con un uomo cinese di oltre 40 anni. «In Cambogia mi promisero un impiego redditizio, ma è stata una schiavitù», afferma Kai. Soltanto l’intervento dell’ambasciata cambogiana a Pechino l’ha riportata a casa, ma lì nessuno dei suoi parenti le ha più rivolto la parola. Anche in Corea del Nord la tratta delle spose è una consuetudine: Lee ne è un esempio. A Pechino è stata rinchiusa in un appartamento con altre coinquiline, illuse dalla promessa di un lavoro in un ristorante. «Con le altre abbiamo oltrepassato a piedi il fiume Tumen – ricorda Lee –, poi, una volta arrivate, di quel ristorante non c’era alcuna traccia. Alcune di noi erano destinate ai bordelli, altre a esibirsi di fronte a una webcam per siti porno. Io sono fuggita calandomi dalla finestra».
Mogli scelte al mercato
Ma non c’è sempre di mezzo un trafficante quando si tratta di trasformare le nozze in un affare. A Shanghai, chi ha figlie in età da marito può esporre il loro curriculum presso il «mercato degli scapoli», come se le figlie fossero «merci»: e così, almeno due volte a settimana, è facile trovare bancarelle piene di fogli di carta svolazzanti sui quali leggere le caratteristiche fisiche di avvenenti adolescenti. A darsi poi appuntamento qui sono i genitori più ricchi, con al seguito il proprio figlio scapolo, entusiasti di immergersi nella lettura di quelle schede, alla ricerca della donna con le migliori qualità procreative.
La Cina è ancora una terra dove la pressione per convolare a nozze è molto intensa, soprattutto tra i giovani omosessuali, che si sentono obbligati a scegliere la propria compagna con queste modalità – meglio se una ragazza omosessuale, in modo da risparmiarsi i doveri matrimoniali –, piuttosto che andare incontro al malcelato sdegno del resto della comunità. Il destino delle ragazze di Shanghai sbandierate al mercato non sembra diverso da quello delle altre donne vendute al «prezzo della sposa», ma la convinzione che tutto ciò faccia parte della normalità è davvero disarmante. E un sogno come quello di poter trovare la propria anima gemella, sembra, con naturalezza, diventare sempre più un’utopia, mentre si fa strada una schiavitù fisica e mentale senza paragoni.
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