A-Dio, don Giovanni!
Avevo conosciuto don Giovanni Nicolini (il sacerdote e monaco che è mancato lunedì 26 febbraio) nel settembre del 2016, al Festival francescano di Bologna, dove mi era stato chiesto di moderare un incontro a cui il sacerdote partecipava con Giancarlo Caselli. Ovviamente al centro del loro dialogo vi erano i temi della giustizia, essendo Caselli magistrato di lungo e «buon» corso e don Giovanni il «parroco» della Dozza, il carcere bolognese. Sin dalle prime battute si era potuta cogliere la grandezza del religioso, che si presentava in modo semplice e dimesso, ma che emanava una luce intensa, quella di chi è abituato a un intimo e costante colloquio con Dio. A seguito di quel primo incontro, poi, avevo potuto intervistarlo per il «Messaggero di sant’Antonio» (qui potete leggere l’intervista completa) e se mai mi era rimasto ancora qualche dubbio sulle sue profonde doti spirituali, mi venne definitivamente fugato. Don Giovanni aveva risposto alle mie domande con una semplicità disarmante, ma con parole di rara bellezza, perché dense di una verità buona e feconda. La grande cultura dell’uomo era palpabile: lui, figlio di una famiglia della ricca borghesia di Mantova (suo padre faceva il notaio e anche lui era destinato a tale professione, se non si fosse innamorato di Cristo, interrompendo, così mi disse, una tradizione familiare lunga quasi due secoli), laureato in filosofia all’università Cattolica di Milano, quindi in teologia alla Gregoriana, profondo conoscitore e amante della musica classica e dell’arte. Ma la sua cultura, lo si capiva subito, era tutta al servizio dell’umano, di un’umanità fatta soprattutto di poveri e piccoli che al mondo della cultura di solito non hanno accesso.
Il suo amore per Cristo era nato ai tempi della scuola superiore e si era via via affinato grazie anche al fermento conciliare che aveva potuto vivere da vicino e alla conoscenza con il cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro e, soprattutto, con don Giuseppe Dossetti, alla cui spiritualità tanto attinse il giovane Nicolini, da seguirlo a Bologna e da scegliere la via del sacerdozio ma con un’attenzione particolare alla vita contemplativa. «Io penso che la Parola sia il centro di tutto – mi confidò, infatti, nell’intervista per la nostra rivista –. Ascoltandola, essa diventa la mia preghiera da una parte e la mia relazione con ogni altra persona dall’altra. Anche in parrocchia non faccio altro: la Parola e la liturgia sono il cuore di tutto il mio operare. Pure il rapporto con i poveri nasce dalla Parola, nel senso che nella vita ho visto come in modo progressivo e sempre più prepotente io stesso dovevo trovare il mistero della povertà per ricevere questa Parola in modo profondo. Perché la Parola di Dio è un Suo piegarsi sulla nostra povertà, che può essere una povertà fisica o morale o spirituale o psicologica o sentimentale. In ogni modo, è sempre la buona notizia ai poveri il segno che il figlio di Dio è veramente in mezzo a noi ora».
A Bologna don Giovanni Nicolini fu tante cose: assistente diocesano dell’Azione cattolica, dell’Agesci, direttore della Caritas, ma anche vicario episcopale per la Carità e la Cooperazione missionaria tra le Chiese. Fu anche assistente spirituale delle Acli nazionali. E pure, o come ha scritto qualcuno «soprattutto», parroco: a Sammartini, nella pianura di Crevalcore, e poi alla Dozza (fino al 2019), il quartiere in cui sorge il carcere di Bologna, che lui cominciò a frequentare abitualmente, insieme all’ospedale universitario di cui, pure, divenne parroco. Un’attenzione, quindi, la sua, alle mille povertà dell’essere umano, quella economica, certo, ma anche quella spirituale ed esistenziale. Povertà intesa quasi come un luogo teologico, come ambito privilegiato in cui Dio si manifesta e in cui dialogare con Lui. Nella mia vita, mi raccontò, non ho guardato con simpatia solo a chi è povero economicamente, a chi è emarginato, ma «a tutti», anche «alle persone vestite bene, la gente che ha fatto carriera». Quando la domenica celebro Messa, continuò, io guardo «all’assemblea riunita come a un’assemblea di poveri ai quali cerco di dare la buona notizia, la Parola della salvezza. Anche i peccatori li guardo allo stesso modo, perché il peccatore è un povero. E anch’io ho scoperto la mia povertà più profonda proprio guardando al mio essere peccatore».
Sempre a Bologna, don Giovanni Nicolini sul finire degli anni Settanta aveva fondato le Famiglie della Visitazione, realtà monastica composta di monache, monaci e famiglie, su ispirazione di quella fondata da Dossetti: «Noi – mi disse don Giovanni riferendosi alla sua comunità – sosteniamo di non essere una comunità che legge e prega la Parola di Dio, ma di essere una comunità che la Parola di Dio chiama, lega, fa pregare». Un cambio di prospettiva che dice tutto di don Giovanni Nicolini e della sua vita.
«La scomparsa di don Giovanni Nicolini – ha sottolineato ieri il cardinale Matteo Zuppi parlando ai media vaticani – è una grande perdita per la Chiesa, per la sua storia e per il significato della sua testimonianza», perché «ha saputo unire molta intelligenza e molta riflessione a una attenzione all’incontro con tutti, a saper parlare con tutti. Davvero un grande grazie per questo dono». I funerali di don Giovanni Nicolini saranno presieduti dal cardinale Zuppi nella Cattedrale di S. Pietro in via Indipendenza a Bologna, mercoledì 28 febbraio alle 15.30. La sepoltura sarà nel cimitero di Sammartini giovedì mattina.