Guardando il bene che c'è
Tra gli interventi che si sono succeduti nel primo giorno della 50ª Settimana sociale triestina, non si può non menzionare quello della vice-presidente del Comitato scientifico-organizzatore, Elena Granata, prima donna a cui è stato affidato questo compito in cent’anni di storia delle Settimane.
Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano e vice-presidente della Scuola di Economia civile (Sec), ha ricordato che l’intenzione del Comitato scientifico non è stata quella di raccontare, nel corso di queste giornate triestine, quello che manca al nostro Paese: «Decidemmo che non avremmo raccontato l’Italia dei “senza” (senza cittadini, senza abitanti, senza medici, senza fedeli, senza lavoratori, senza figli), ma avremmo messo a fuoco l’Italia che c’è, che partecipa, che innova, che rischia, quella che “sta nel mezzo”».
E così sta avvenendo in questi giorni in cui le buone pratiche, le riflessioni positive trovano tra i 900 delegati alla Settimana un ruolo da protagonista, per mostrare che è possibile, si può fare diversamente, si può immaginare e perseguire un presente e un futuro differenti.
Possiamo dispiacerci di tutto ciò che non va, ha proseguito Granata ma è più importante a nostro avviso «provare a comprendere che cosa desiderano, cosa cercano, lungo quali sentieri stanno camminando le donne e gli uomini di questo Paese» riconoscendo al contempo il protagonismo di tanti cittadini che si stanno rimboccando le maniche, e che spesso non vediamo. Perché alla fine, anche in questo ambito è una «questione di sguardo: siamo di fronte a una partecipazione delle donne alla vita pubblica senza precedenti, in ogni ambito politico, culturale, scientifico. Non si può non cogliere una nuova attenzione diffusa per l’ambiente e la sua tutela; sono moltissimi i giovani impegnati in attività di volontariato, in forme diverse di attivismo ambientale, anche radicale. Emerge una nuova aspettativa di qualità della vita che si traduce in domanda di più tempo per sé e per la famiglia, in domanda di più verde nelle città, in domanda di più gratificazione nel lavoro. Sono soprattutto i giovani a chiedere di poter conciliare meglio le diverse dimensioni della vita: lavoro, vita privata, tempo, contesto. Una domanda di senso che poi sollecita tutti. Ci sono uomini e donne attivi nei luoghi della vita quotidiana, nei quartieri, nelle reti di prossimità, nelle azioni in difesa del pianeta e della biodiversità, nei luoghi della povertà e della sofferenza, tra i ragazzi nelle scuole, nei luoghi dove si fa impresa e innovazione. Poeti sociali li chiama papa Francesco, “seminatori di cambiamento”».
Quest’anno, ha quindi ricordato Granata, «ricorrono due centenari: quello di Franco Basaglia “il medico dei matti” e quello di Danilo Dolci “il pedagogista dei poveri”. Le loro storie ci dicono quanto possa essere rivoluzionario il modo in cui guardiamo agli altri e a noi stessi. Ciascuno cresce solo se sognato, diceva Danilo Dolci. Da vicino nessuno è normale, diceva Franco Basaglia. Entrambi ci hanno insegnato il potere dello sguardo, e quanto sia importante saper coinvolgere: che vuol dire chiamare in causa, scomodare, attivare, saper dare inizio. E poi saper riconoscere: se le persone non si sentono riconosciute nel loro valore e nelle loro differenze (penso ai giovani, alle donne, a persone di altre culture, ai poveri) non partecipano».
«La partecipazione – ha ribadito la docente – ha una natura complessa, che sempre ha a che fare con la ragione e col sentimento, con i bisogni e con i desideri. Essa accade, spontanea, quando si riesce a superare il confronto faticoso e dogmatico, o a superare la tentazione di pensare che il dialogo non serva a nulla; quando cominciamo a fidarci gli uni degli altri superando le diffidenze reciproche, riconoscendo senza timore conflitti e posizioni antagoniste, superando le paure e le ansie. Accade quando l’ambiente improvvisamente si scalda e si accende un confronto che non è solo mentale o intellettuale, ma anche fisico, fatto di empatia, fatto di calore umano».
«La partecipazione – ha concluso Elena Granata – è faticosa ma genera legame sociale, costa tempo ed energie ma quando funziona consente alle persone di fare un’esperienza personale ma anche comunitaria. Ma non basta la buona volontà e l’iniziativa dispersa di qualche volonteroso. La partecipazione può essere organizzata e facilitata, diventare un’abitudine e uno stile di relazione. Tra il tempo breve dell’azione (quelle azioni locali che tanto impegnano molti di noi) e il tempo lungo del pensiero dovremmo fare spazio ad un agire-pensante, capace di essere inclusivo delle molte voci senza perdersi in discussioni oziose, in grado di imparare per intelligenza progressiva e dalla cultura dell’errore. Un agire-pensante che abbandoni l’illusione dei princìpi assoluti per accettare l’imperfezione connaturata ad ogni azione collettiva».
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