L'eredità delle sorelle Della Morte
Tre sorelle: Ippolita, Lucrezia ed Eugenia, ognuna con un nome che, da solo, promette già un romanzo; e con un medesimo cognome, Della Morte, che evoca suggestioni pirandelliane sulla sua percezione collettiva. Un cognome tanto pesante quanto impegnativo che richiede alle tre sorelle di emanciparsi con un physique du rôle nutrito di sana autoironia. Se poi aggiungiamo che in questo godibilissimo romanzo che si legge tutto d’un fiato, Ippolita, Lucrezia ed Eugenia si ritrovano ad ereditare nientemeno che un’avviatissima impresa di onoranze funebri che somiglia a una piccola holding con ramificazioni e addentellati in Italia e all’estero, si può solo immaginare quanto sia ardua la sfida delle tre sorelle non solo per sopravvivere al loro inquietante status familiare, ma anche per orientarsi nella scelta, o nel rifiuto, di un’eredità così ingombrante.
Dietro le quinte della trama, a dettare le regole del gioco è la perfida e occulta regia della zia delle tre sorelle, Salva Della Morte, passata a miglior vita, ma che costituisce il vero convitato di pietra di questo romanzo scritto con garbo e ironia, e che ammicca al più genuino humour nero della tradizione britannica.
Le autrici, Carla Ravazzolo e Cristina Sartori, hanno attinto a esperienze luttuose, vissute personalmente o nella cerchia delle loro amicizie, esorcizzandole tra le righe di questo romanzo, e proponendo una galleria di situazioni surreali e di umori umanissimi.
Guardare al mesto ultimo commiato con un appeal più leggero è la confessata ambizione – e l’impeccabile esito – de L’eredità delle sorelle Della Morte, un romanzo dal ritmo incalzante, con colpi di scena imprevedibili e provocatori, capace di pungolare il nostro sgomento, ma, allo stesso tempo, di sublimarlo attraverso un approccio al delicato tema della morte che nella scorrevolissima prosa ha un sapore perfino confidenziale ed esilarante, ma non irriverente, e senza farsi mai lusingare dalle malie della farsa poiché, per parafrasare un celebre slogan del ’68: una risata (non) ci seppellirà!