22 Giugno 2024

Maria e Damiano

La loro porta-finestra si affacciava sulla strada. C’era una sedia seminascosta. Vi era poggiato sopra un cartello, scritto a mano, quasi illeggibile a meno di non avvicinarsi. Chiedeva un aiuto, un’elemosina, senza usare questa parola.

 

Maria e Damiano

Questa è una piccola storia. Una storia triste, se volete. Vissuta ai margini. Racconta di un uomo e di una donna. Si chiamavano Maria e Damiano. Non so dirvi la loro età. Ben oltre i 50 anni, certamente. Ma non saprei dire. Una vita faticosa, posso immaginare. Non so niente di loro. Una storia che non si è svolta in una periferia di una grande città. Non in un quartiere malandato. Ma lungo una strada del «centro» di una bella e piccola città del Sud. Percorsa ogni giorno da folte pattuglie di turisti. La casa di Maria e Damiamo era povera, forse erano tra gli ultimi abitanti di un centro storico passato dal degrado e l’abbandono a una straordinaria bellezza, popolata di buoni ristoranti e caffè affollati. Proprio davanti a casa di questa coppia vi è uno dei locali più celebri della movida notturna. In certe notti è difficile farsi largo tra le ragazze e i ragazzi con uno spritz in mano. Non so cosa ne pensassero Maria e Damiano. Non mi sono mai fermato a parlare con loro.

Passavo di lì ogni giorno, più volte al giorno. Cento volte ho pensato: «Ora mi fermo, provo a scambiare due parole». È accaduto una sola volta. Di giorno. Erano fuori entrambi, seduti al sole. Damiano si era spinto fino a lì con la sedia a rotelle. Da tempo non camminava più. Mi hanno raccontato: «Il diabete lo ha divorato». Lei aveva i capelli tinti di rosso. Li scoprii gentili, sorridenti, affabili. C’era una donna con loro. Ho pensato che fosse un’assistente sociale. Ricordo che ci presentammo. Di lui adesso mi hanno detto che aveva una bella voce, che a volte cantava, che era stato elettricista, che una volta si nascose per poter mangiare in pace una brioche. «Non seguiva i consigli dei medici». La loro porta-finestra si affacciava sulla strada. C’era una sedia seminascosta. Vi era poggiato sopra un cartello, scritto a mano, quasi illeggibile a meno di non avvicinarsi. Chiedeva un aiuto, un’elemosina, senza usare questa parola. Una scodellina per lasciare le offerte. L’ho sempre vista vuota. O, forse, non ho mai avuto attenzione. Non ho mai messo nulla. Ho un senso di colpa. Passavo di notte e la loro porta era aperta. La luce fioca di una sola lampadina. Spesso erano addormentati. La testa appoggiata sul tavolo. O quasi sdraiati su un vecchio divano.

Sono tornato nella città dopo qualche settimana di assenza. Le porte e le finestre di quella casa erano chiuse. Nessuna luce. Non potrò più chiedere la loro storia. Un’amica mi racconta che se ne sono andati. A quattro ore di distanza uno dall’altro. In reparti diversi dell’ospedale. Sulla porta di quella casa, qualcuno ha appeso un piccolo «disegno», quasi un pupazzo, dai colori verde e rosa già sbiaditi: ha la forma di un crocifisso, al centro un piccolo fiorellino di pezza bianco. Come un regalo per un bambino. 

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Data di aggiornamento: 22 Giugno 2024
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