La voce degli alpini si fa preghiera

Lo scorso 12 aprile, alla vigilia dell’Adunata delle penne nere, presso il Santuario mariano di Monte Berico a Vicenza, si è tenuta la prima assoluta della «Messa alpina» composta da Mario Berno e Vittorio Rigoni.
17 Giugno 2024 | di

Ci sono gli alpini scolpiti nel cuore del marmo, 75 anni fa, dallo scultore Alberto Zanetti. E ci sono quelli dal cuore di carne, che batte forte di emozione per la «prima della prima» Messa alpina, chiamati a cantarla sotto il manto protettivo dell’antica statua della Madonna di Monte Berico, che dal 1400 protegge la città di Vicenza. Città che nel maggio scorso ha ospitato la 95ª Adunata nazionale Alpini, richiamando centinaia di migliaia di penne nere, per quella che si caratterizza sempre di più come una festa della solidarietà nazionale. Vicenza che è anche patria di quello storico maestro e compositore, Bepi De Marzi – autore del celeberrimo Signore delle Cime –, considerato il «padre» di tutti i cori alpini del mondo. 

Memoria che guarda al futuro

Siamo alla metà di aprile, quando, con le strofe «Se dall’alto del tuo ciel, o Signore guardi giù, vedi un coro che ti prega per gli amici lassù…» viene presentata la prima Messa alpina mai scritta, un misto di tradizione, devozione e innovazione. Autori di questa prima Messa i vicentini Mario Berno e Vittorio Rigoni, entrambi membri del medesimo coro alpino di Lumignano di Longare (VI), e con la comune passione per la composizione musicale, che riesce a compensare anche la grande differenza anagrafica. Mario Berno, 91 anni, continua a scrivere e musicare, dopo essere stato apprezzato corista del suo coro alpino di Lumignano fino a qualche anno fa. Vittorio Rigoni, 58 anni, originario dell’Altopiano di Asiago, è figlio di Andrea Rigoni (musicista e storico fondatore, nel ’78, dello stesso coro di pianura, pianura nella quale si era trasferito con la famiglia dall’Altopiano di Asiago). A legare le tre penne nere (Berno e i due Rigoni) la passione musicale per la composizione e l’esecuzione, ma anche lo spirito di squadra. Lontani, grazie a Dio, i tempi della guerra in patria. «Andati avanti» gli ultimi testimoni, quelli di oggi sono alpini per memoria, anche se in un angolo del loro cuore conservano una sorta di nostalgia per quella naja di un tempo, che oggi appare come un tempo improponibile per le nuove generazioni. 

Di memoria parlano anche i testi della Messa alpina, la quale nasce dopo una ventennale gestazione musicale, alimentata dall’ostinazione dei suoi compositori. «Ma serviva proprio una Messa alpina?» è la prima domanda che viene, infatti, da porre agli autori. «In realtà questa Messa è il frutto maturo di un desiderio coltivato nel tempo e grazie alla dedizione alla musica – la risposta congiunta di Mario Berno e Vittorio Rigoni –. All’inizio erano dei singoli canti eseguiti dal nostro coro per le Messe; canti che finivano regolarmente in un cassetto ma con la recondita speranza di farne un giorno una vera e propria Messa alpina. Un sogno oggi divenuto realtà». 

Composizione popolare

Il mondo musicale alpino è ancora poco conosciuto, eppure gode di una rara vitalità: sono infatti più di 160 le formazioni (ANA) attive in Italia, tra cori e fanfare, che offrono «armonia e ritmo» alle adunate, serate, alle varie celebrazioni e alle funzioni religiose. Nella stragrande maggioranza dei casi, i brani eseguiti sono composti da semplici «amatori con la penna nera», che spesso hanno ereditato la loro passione musicale in famiglia. Proprio com’è stato per il maestro Vittorio Rigoni, che ha imparato dal padre Andrea – anch’egli semplice amatore – la scrittura e la composizione musicale. «Sappiamo di non essere cantori o musicisti di professione – sottolinea a riguardo il maestro Vittorio –; a spingerci è la passione del cantare “con gratuità” per esprimere così il cuore della nostra tradizione». E questo è esattamente l’humus umano da cui è nata anche la Messa alpina: nessuna ambizione d’imporsi come un capolavoro assoluto, ma «una composizione d’ispirazione spirituale e popolare». Lo mostrano le parole del canto di comunione: «Pane spezzato sull’altare, nostro cibo, fonte di vita, sei sostegno dell’alpino, dono della tua bontà infinita. La tua mano ci sostiene, là sul ghiaccio e sulle nevi, con la tua parola di Luce il nostro ardore sollevi…».

Una metrica e una ritmica che accostano la musica sacra a quella delle melodie di montagna. Un doppio tentativo e un doppio sforzo, come racconta ancora Rigoni: «Trattandosi di una Messa, ci siamo dovuti confrontare non solo con significati e gesti religiosi, ma anche con le Sacre Scritture, avvalendoci della consulenza di alcuni sacerdoti. Alcune partiture sono state estrapolate dai Salmi, come pure il Santo canonico o l’Ave Maria, fedele alla formula tradizionale. In altri passaggi, invece, ci siamo ispirati liberamente ai temi cari agli alpini, compiendo un lavoro di cesellatura per riuscire ad arrivare a tutti, a chi è stato alpino e a chi solo simpatizza con il mondo degli Alpini». Un coinvolgimento avvertito dalle tante persone che hanno assistito alla «prima» nella Basilica mariana.

Una commozione tradita anche dai volti dei quaranta coristi schierati ai piedi della grande statua della Madonna di Monte Berico, in una formazione altrettanto inedita: due cori uniti per l’occasione, che hanno dato origine a una formazione unica, con il nome di «Amici Alpini», e la co-presenza di due direttori. Un unicum in Italia. «La formazione “Amici Alpini” è il risultato della fusione tra il coro “Amici Miei” di Montegalda (VI), diretto da Alberto Bortoli, e quello alpino di Lumignano, guidato da Vittorio Rigoni – spiega lo stesso Rigoni –, una fusione dettata dalla necessità di adeguarsi ai tempi e dall’avanzare dell’età dei coristi. Così, unendo le forze, abbiamo anche ritrovato un nuovo slancio creativo, che ci ha condotti a incidere il cd della Messa alpina, presentata come una delle novità dell’Adunata di Vicenza». 

Un’assenza, però, è pesata sull’Adunata di Vicenza: quella del maestro dei maestri, quel Bepi De Marzi che non fa segreto del suo passato «antimilitarista»: «Ero e sono contro ogni forma di milizia e militanza – ha fatto sapere l’ottantenne maestro che oggi vive ai margini di Vicenza –. Da anni auspico che l’Adunata degli Alpini sia sempre più solo una festa per le famiglie e di solidarietà nazionale, piuttosto che quel raduno di nostalgici che a volte pare diventato». Qualche perplessità De Marzi l’ha espressa pure sulla stessa Messa alpina: «I cori alpini – ha spiegato –, pur cimentandosi con passione, hanno il limite di esibirsi da soli mentre i fedeli restano solo ad ascoltare. Questo, a mio avviso, indebolisce la vocazione stessa della liturgia, che trova nel cantare e pregare comune, nella condivisione, la sua essenza». 

Che le note si propaghino

Grande comunque è stata l’emozione per i protagonisti dell’evento, che hanno cantato, secondo tradizione, a cappella, affiancando le loro voci fino a farle vibrare all’unisono. E così il decano dell’inedita formazione, Gianni Cagnin, 81 anni, si è esibito a fianco del più giovane dei coristi, Lorenzo, 16 anni, figlio dello stesso maestro Rigoni. Tutti insieme hanno accolto grati l’ovazione finale del pubblico, dopo l’esecuzione, a margine della serata, dell’Inno alla pace e solidarietà alpina, che la Sezione alpini «Monte Pasubio» di Vicenza ha voluto trasformare in Inno ufficiale dell’Adunata vicentina: «Amici alpini, correte, correte la terra trema, valanghe fa la neve, il fiume cresce, minaccia il Bel Paese… la lunga penna sul cappello scrive solidarietà». Storia di oggi. Cronaca iscritta tra le strofe, che salta alla mente pensando alle tante calamità affrontate da quell’esercito silente di operosità, solidarietà e generosità, di cui gli alpini sono espressione e garanzia. 
«L’augurio, ora – concludono insieme maestri e coristi –, è che la Messa “spicchi il volo”, diffondendo nel mondo le sue note, fino a entrare nella storia degli Alpini». 

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Data di aggiornamento: 17 Giugno 2024

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