Viaggio a «paradiso città»

Un recente viaggio nei Balcani è l’occasione per evadere dalla routine, ma anche per esplorare «nuovi confini», non solo geografici.
20 Giugno 2024 | di

L’estate è alle porte e la voglia di evadere dalla quotidianità e dagli impegni è tanta. Quale occasione migliore di un viaggio per realizzare i propri desideri? Mi viene in mente Destinazione Paradiso, la canzone che ha segnato il grande successo di Gianluca Grignani negli anni Novanta: «E allora sai che c’è / C’è, che c’è / C’è che prendo un treno che va / A paradiso città / E vi saluto a tutti e salto su / Prendo il treno e non ci penso più / Un viaggio ha senso solo / Senza ritorno se non in volo / Senza fermate né confini / Solo orizzonti neanche troppo lontani […]». In questi versi, le espressioni «treno», «non ci penso più», «senza ritorno», «fermate», «confini» e «orizzonti» sono significative, perché riassumono l’essenza del viaggio sia sul piano pratico (la scelta dei mezzi di trasporto) che su quello filosofico e astratto (lo «staccare la spina» o il senso che queste esperienze hanno per ciascuno di noi).

Ho ritrovato tutti questi spunti di riflessione durante il mio ultimo viaggio nei Balcani (dal 28 marzo al 2 aprile scorsi), nelle città di Tuzla in Bosnia e Banja Koviljača in Serbia, grazie alla preziosa collaborazione con l’Associazione di Volontariato «Un Bambino per Amico Odv», che opera sul territorio della bassa reggiana offrendo iniziative di solidarietà ai popoli e ai bambini vittime di guerra della ex Jugoslavia. Nella mia testa risuona il concetto di «confine», proprio rispetto a un episodio esilarante che ho avuto alla frontiera: ero in macchina con i miei accompagnatori e, quando alla dogana ci siamo dovuti interfacciare con la polizia, gli agenti, imbarazzati, ci hanno lasciato passare senza eseguire i controlli necessari. E se a bordo di quell’auto ci fosse stato un… «malandrino»? Io stesso lo sarei potuto essere! A parte questo, ho avuto modo di sviscerare anche nuovi «orizzonti»: in questo Paese ho scoperto una cultura della disabilità molto diversa da quella italiana.

Mi sono chiesto quanto fosse possibile parlare di «cultura» laddove la situazione è lasciata ancora alla buona volontà degli «inconsapevoli promotori d’inclusività» (coloro che non sono formati per lavorare in questo ambito, ma si mettono in gioco nelle relazioni «sporcandosi le mani»), dal momento che i servizi dedicati alle persone con disabilità sono davvero marginali. Una di queste promotrici è la cuoca Bosa che, prima di servire il pranzo, si è messa a giocare a calcio con i volontari del nostro gruppo e alcuni bambini appena rientrati da scuola. Nelle varie strutture che ho visitato (tra cui una scuola «speciale» e un «Dom», ossia una casa che accoglie minori, alcuni dei quali con lievi deficit cognitivi) ho riscontrato una serie di problematiche: personale scarsamente qualificato, a-specificità delle competenze, mancata valorizzazione delle differenze nei progetti di vita di ciascuno/a. Ma vedere la grande disponibilità degli operatori che si adoperano con poche risorse per ricostruire un tessuto sociale degno della parola «inclusione» è stato fondamentale. Dai limiti e confini si è passati quindi a nuovi orizzonti e prospettive!

E a voi è mai capitato di superare confini e tracciare nuovi orizzonti in un viaggio? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram.

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Data di aggiornamento: 20 Giugno 2024
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