27 Ottobre 2024

L’intruso

Un ex mercenario cardiopatico in attesa di un trapianto cardiaco compie un viaggio dalla Francia fino in Oceania per incontrare un figlio avuto molti anni prima. È la trama del film «L’intruso» («L’intrus», Francia 2004) di Claire Denis.
L’intruso

Louis Trebor (interpretato da Michel Subor in modo memorabile) è un grave cardiopatico 60enne, che ha bisogno di un trapianto di cuore. Ex mercenario, violento, scostante, taciturno e imprevedibile, vive da solo sulle innevate montagne del Giura francese, con due splendidi cani Akita giapponesi, in una baita al confine con la Svizzera, un luogo di emigrazione e spaccio a ridosso della dogana. Nella città vicina risiede il figlio Sidney (l’attore Grégoire Colin) con moglie e due figli, ma il loro rapporto con Louis è ormai deteriorato. La malattia lo prostra e Louis manda un messaggio criptato via computer in caratteri cirillici, facendo scattare un contratto d’emergenza legato al commercio internazionale d’organi. Louis ordina illegalmente un cuore, precisando: «Né di una donna, né di un vecchio; voglio conservare il mio carattere». Prelevati i contanti dalla sua banca di Ginevra, intraprende un viaggio in Estremo Oriente, con l’intenzione di finire i suoi giorni a Papeete, nella Polinesia francese, isola di Tahiti. Lì vuole conoscere il figlio avuto da un’indigena e lasciargli la propria cospicua eredità, compresa la bella barca fatta costruire nei cantieri coreani.   

Per il suo film L’intruso (L’intrus, Francia 2004) la regista francese Claire Denis, classe 1946, si ispira molto liberamente alle riflessioni etiche contenute nel brevissimo saggio L’intruso di Jean-Luc Nancy (1940-2021), il noto filosofo che fu sottoposto in Francia nel 1992 a un normale trapianto di cuore e che successivamente ebbe un cancro secondario alle terapie immunosoppressive. Nancy dovette abbandonare l’insegnamento e altre attività professionali, ma non smise di scrivere e narrò anche dei suoi vissuti di sofferenza e speranza. La parola intruso si riferisce a più cose. Se ci batte nel petto il cuore di un’altra persona, ci sentiamo debitori verso colui che, morendo, ci ha salvato la vita e ne immaginiamo l’identità, cercando di addomesticare le fantasie più selvagge e disturbanti: chi è l’alieno che mi sta ritmicamente pompando sangue, spirito intellettivo e alito vitale? Come posso custodire questo impagabile dono e chi devo ringraziare? Perché sono io il sopravvissuto e non l’altro? E se l’altro fosse mio figlio? Quali trasformazioni fisiche e morali subirò?

Louis porta nel suo volto, ancora bello e sensuale, e nella cicatrice che gli dividerà il torace, il sogno ambivalente di una generosità di cui non sembra più capace. I suoi giorni sono vulnerati e inquieti. Come ex soldato, ha dovuto rimuovere la pietà, sradicare il senso di colpa, far terra bruciata attorno all’idea di fragilità. Chi lo conosce lo guarda con paura e compatimento, con ostilità e sospetto. Louis è un maschile cuore in inverno, un cuore di pietra, un cuore vuoto, un cuore traditore. È intruso a lui stesso, come se il prezzo pagato per sopravvivere alla guerra lo avesse raggelato e reso cinico. Adesso sente che la fine è vicina e che una cattiveria misteriosa ha preso il posto dei suoi visceri. Vorrebbe finire il suo «film» biografico con un colpo di teatro, una riconciliazione, un grazie, forse una richiesta di perdono, perché senza un perdono escono da lui (e forse automaticamente, senza di lui) pensieri e azioni delittuosi. «I tuoi peggiori nemici ti si nascondono nell’ombra del cuore» ricorda la voce femminile all’inizio del film.

Lo spettatore è disorientato. Per gran parte delle due ore di pellicola deve immaginare l’identità dei personaggi, i precedenti del dramma, i collegamenti fotografici dei paesaggi, strane coincidenze iconografiche, l’esito di parole soffocate e appena sospirate. Le inquadrature contengono cornici spezzate, sono quadri dentro quadri, tele tagliate in modo precario. E noi che guardiamo, chi siamo? Siamo la massaggiatrice cieca che gli tasta le membra dolenti. Siamo i due cani che lo accompagnano con affetto testardo. Vorremmo anche noi trovargli un figlio, che lo esorcizzi dall’odio, dalla noia di vivere, dalle fantasie di suicidio.

La regista ci fa sentire estranei nella sala di proiezione, folgorati dalle rapidissime, implacabili decisioni di un uomo che cerca ciò che conta e non lo trova, anzi, viene trovato dal dolore. Eppure non cede. Del trapianto non si vede nulla. Il film ci lascia però una cicatrice che sutura i brandelli di carne in cui la nostra anima si fa corpo, empatizzando con le ferite di Louis. Lo sguardo ferrigno del protagonista ci mostra le sue visioni, gli incubi e le aspettative. Reali? Allucinate? Folli? Improbabili? Non importa. Non conta chi sia la giovane russa, bionda e bellissima, che gli sorride nel ricevere il denaro, che lo segue e lo condanna («non bastano i soldi per ripagare»). Forse è un angelo della morte, o una dea vendicativa come le Erinni. Oppure è un fantasma benevolo, una guida spirituale. 

Nella pellicola si sovrappongono luoghi e persone. Perché il giovane cadavere che Louis riporta in Francia per nave somiglia così tanto al figlio vivente Sidney? Perché la regista «trapianta» una sequenza del film del 1962 Le reflux (girato da Paul Gégauff e tratto dal racconto Il riflusso della marea scritto nel 1894 da Robert L. Stevenson, che fu non casualmente l’autore de L’isola del tesoro e de Lo strano caso del Dr. Jekyll e  di Mr. Hyde)? Perché la musica di Stuart Staples dei Tindersticks ci rimbomba ipnotica nelle orecchie come un cupo ritmo cardiaco, che immerge la vicenda in un alone onirico e magico? 

Non conta la realtà. Quella viene dal caso o dalla fortuna, è sempre piena di buchi e ha sempre un finale noir. Conta quello che hai al posto del cuore. Questo dipende da te. Puoi decidere o rimandare la decisione di prenderti cura degli affetti, di pensieri e volontà (che hanno sede appunto nel «cuore», come pensava la Bibbia), ma in ogni caso quella scelta ti appartiene e un giorno busserà alla porta come un intruso o ti brucerà come un dolore al braccio. Che cosa gli dirai, quando capirai che hai ancora una chance? Una curiosità: se il film ti irrita, leggi il libro Claire Denis (Bergamo Film Meeting), a cura di Pier Maria Bocchi e Luca Malavasi.

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Data di aggiornamento: 27 Ottobre 2024

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