L'età dell'odio
Viviamo nell’era dell’«odiocrazia», dove il potere si costruisce identificando nemici da annientare. La vicenda di Charlie Kirk illustra bene questa dinamica perversa. Mentre la vedova Erika, tra le lacrime, dichiarava che «la risposta all’odio non è altro odio», Donald Trump ribatteva: «Charlie non odiava i suoi oppositori, io li odio». Il perdono rischia di spegnere il fuoco dell’odio, che invece va continuamente alimentato. L’odiocrazia trasforma la politica in una guerra permanente, dove libertà, identità, potere coincidono con l’identificazione del nemico. Non più dialogo, ma annientamento simbolico – e talvolta fisico – dell’avversario. Il dissenso diventa tradimento, la critica attacco alla nazione, l’opposizione complotto. Una dinamica che si alimenta di semplificazioni manichee: noi contro loro, puri contro impuri, patrioti contro traditori. La complessità della realtà schiacciata sotto il peso di narrazioni polarizzanti che non ammettono sfumature.
Il nemico deve essere assoluto per giustificare l’odio assoluto. L’odiocrazia promette una libertà illusoria: odiare senza limiti per affermare la propria sovranità. Ma questa è una prigione che intrappola chi odia in un ciclo infinito di rancore e vendetta. L’odiocrazia non è solo un fenomeno politico, ma una patologia sociale che corrode il tessuto democratico dall’interno, trasformando i cittadini in soldati di una guerra civile permanente dove l’unica vittoria possibile è la distruzione.
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