Hanno ucciso il mio amore

Nel novembre del 2022 è nata Dania. A Gaza City. Nel Nord della Striscia. «Vicino allo scintillante Mar Mediterraneo». Dania, in arabo, significa «vicina», vicina al cuore di una madre e di un padre. I suoi genitori, Shrouq e Roshdi, possedevano una casa che si affacciava su quel mare infinito. «Era la nostra oasi, il nostro rifugio». «I nostri sogni non erano grandiosi, erano fatti di favole della buonanotte, coccole mattutine, passeggiate nel fine settimana. Non volevamo ricchezze. Volevamo solo tempo». Il tempo non c’è stato. Il 22 ottobre del 2023, Shrouq, Roshdi e Dania stavano facendo colazione. Mentre Shrouq prendeva un pezzo di pane, una violenta esplosione manda in frantumi le finestre. Seguono altre esplosioni. «Più vicine, più forti». A Gaza si sa cosa significa: era una «fascia di fuoco». Cercano di fuggire. Cadono. Tutto si annebbia, scompare in una «nuvola grigia». Shrouq cerca di rialzarsi. Non ci riesce. Il corpo di Roshdi, coperto di sangue, le blocca le gambe. Dania è lì accanto, viva, si muove. Un ultimo sguardo al marito, gli occhi di Roshdi erano vitrei. «Il cranio era aperto, potevo vedere il suo cervello». Il tempo si era fermato. Shrouq sussurra quasi un rimprovero: «Non avevamo deciso di invecchiare assieme?».
Shrouq nei primi mesi di allattamento di Dania aveva sempre provato dolore. Quella sera, «Dopo aver lavato il sangue e la polvere dal corpo» della figlia, l’ha presa tra le braccia per allattarla. Per la prima volta non provò dolore, «nessun dolore».
Sono passati già due anni dall’uccisione di Roshdi, Dania ora ha 3 anni e ha trascorso metà della sua vita sotto le bombe. In fuga, in un luogo da dove non si può fuggire. Senza cibo, «senza latte in polvere, senza omogeneizzati». Il corpo di Shrouq, allo stremo, ha tenuto in vita sua figlia. Dania «non ha mai conosciuto il sapore della frutta, la dolcezza di una banana matura, la croccantezza di un cetriolo fresco. Non ha alcun ricordo di yogurt, formaggio o riso che non fossero scaduti o ammuffiti».
Shrouq e Dania sono sopravvissute. Shrouq non ha mai smesso di impugnare una telecamera e raccontare la tragedia del suo popolo. A Gaza sono stati uccisi quasi trecento giornalisti palestinesi. Lei ha continuato il suo lavoro, ha preso in mano i destini di AinMedia, l’agenzia che aveva fondato assieme al marito. Ha testimoniato il genocidio «lento e rapido», «silenzioso e assordante» dei gazawi. È stata capace di vincere l’Emmy Award per il video giornalismo con il documentario A Hidden War. Dania sta crescendo. A volte dice a sua madre che è «stanca» di stare con lei e che «vuole suo padre». Shrouq scrive: «Non è consentito il lusso del dolore in un genocidio». «La guerra ha un suo modo di uccidere il cuore con il tempo», il dolore diventa qualcosa di «oscuro, permanente». È vero, ma Shrouq scrive anche: «Ogni giorno ci alziamo e ricominciamo».
All’altro capo del Mediterraneo, nella tarda primavera di quest’anno, a Venezia un editore, Luca Cosentino, fondatore della casa editrice Wetlands, incontra, a una manifestazione per la Palestina, una scrittrice iraniana, Shourideh Molavi. Luca vuole pubblicare un libro su quanto sta accadendo a Gaza. È così che, grazie a Shourideh, nasce il contatto con Shrouq. Potete immaginare la prima telefonata tra Luca e la giornalista palestinese: da una casa di Venezia, con attorno la meraviglia della laguna, a un qualche luogo di Gaza, con attorno le macerie. Un uomo occidentale e una donna palestinese, connessioni come miracoli, tra la città più bella del mondo e la più disperata. Eppure accade: Shrouq accetta di scrivere il libro, accetta di raccontare la sua storia. Lo fa in tre mesi, la scorsa estate: tra bombe, sfollamenti, gli amici che muoiono attorno a te, la fame, una figlia da proteggere, da amare, da curare, la polvere, Shrouq scrive, scrive, scrive. A fine agosto, il libro è finito. Riesce a inviare quelle pagine. A Venezia si rendono conto dell’importanza di questo racconto. Scatta allora una solidarietà immediata e profonda: editore, grafici, traduttrice, editor, curatori e, infine, gli stampatori e i promotori corrono, offrono gratuitamente il loro lavoro, il loro impegno, la loro passione. A fine settembre il libro è in libreria, ogni compenso andrà a Shrouq e Dania.
Roshdi, una settimana prima di essere ucciso, aveva scritto: «Non ce ne andremo. Ci solleveremo da Gaza verso il cielo, e solo verso il cielo».
Shrouq ha un profilo instagram: @shrouqaila. Il suo libro è Hanno ucciso habibi, edito da Wetlandsbook (15 euro).
Ho pensato che la «meglio gioventù» di Gaza aveva un profilo sul web come strumento per comunicare la propria esistenza al «mondo di fuori». In questi mesi, i profili di mille e mille ragazzi che non ci sono più (giornalisti, artisti, calciatori, una ragazza di 20 anni che era pugile, musicisti, videomaker, cantanti, scrittrici) hanno continuato a esistere nel web, a pulsare, a raccogliere amicizie, a essere letti, riletti, guardati. So quanto sia fragile, ambigua, contradditoria, rischiosa la Rete, ma da Gaza libera voci che non vogliono saperne di sparire, che vogliono ancora parlare, raccontare. Dire a bassa voce che «esistono».
(La foto di Shrouq Aila è tratta dal suo profilo Instagram)
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