27 Ottobre 2025

Servi o padroni?

A dare retta al Vangelo, la risposta è una sola: in famiglia, coi figli e il coniuge, siamo chiamati a essere servi e pure inutili. Perché così ha fatto Gesù, lavandoci i piedi e morendo per noi.
Servi o padroni?

© Margherita Allegri

«In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!”. Il Signore rispose: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,5-10).

I discepoli chiedono che venga aumentata la loro fede, Gesù risponde che non serve più quantità, ma più qualità nella fede. Una fiducia caparbia, tenace, determinata, può produrre cose incredibili, dice infatti Gesù: anche gli alberi possono cominciare ad ascoltare e a camminare. A tale riguardo, ricordo quanto mi disse una volta un amico: «Ma quante catechesi abbiamo ascoltato nella nostra vita? Se ci fidassimo veramente del Vangelo, sarebbe bastato un solo versetto per cambiare radicalmente la nostra esistenza». Ed è vero… Ho trovato la fede alle scuole medie con i salesiani, poi ho fatto parte dell’Azione Cattolica, ho frequentato le iniziative dei francescani Minori di Assisi, ho partecipato al percorso delle 10 parole, ho frequentato i Carmelitani di Treviso, con mia moglie abbiamo vissuto per tre anni con i frati Conventuali di Camposampiero, collaborato in diocesi, in parrocchia, nella pastorale con le famiglie, ho ascoltato e fatto centinaia di catechesi, ma se solo avessi avuto una fede grande quanto un granello di senape avrei sradicato la realtà attorno a me per portarla altrove, in un’altra dimensione.

Tenendo conto di questa riflessione, risulta ancora più interessante il racconto del servo che è chiamato a ricordarsi di essere un servo inutile. Essere servi inutili significa fare ciò che ci compete senza aspettarci, appunto, un utile, ma facendolo gratuitamente, semplicemente perché è la cosa giusta da fare. Che cosa spetta a un padre? Amare e servire i propri figli. Che cosa a uno sposo? Amare e servire la propria moglie. Invece quante volte ci mettiamo a servizio del nostro coniuge o dei figli e ci aspetteremmo almeno un grazie, un po’ di riconoscenza, qualche forma di gratificazione affettiva? Ma, di solito, nessuno sembra nemmeno accorgersi di ciò che facciamo, figuriamoci elargire quel compenso emotivo che gradiremmo! Eppure Gesù ci dice che amare significa proprio questo: servire gratuitamente, senza attendersi compensi, perché siamo servi inutili. Intendiamoci: non è inutile quello che facciamo, perché il nutrire le persone che amiamo, il «pascolare» i nostri figli, l’«arare» la realtà attorno a noi, è estremamente utile e porterà frutto se avremo almeno un granello di fiducia che quello che stiamo facendo ai nostri figli e a nostra moglie/marito è un amore abitato dal Padre. Il punto qui è che non ci spetta il diritto a una ricompensa. Siamo chiamati a donare, a portare pazienza, ad ascoltare, a perdonare, a curare, a sostenere, a servire, semplicemente perché, se non lo facciamo noi, non lo potrà fare nessuno al posto nostro.

Oggi questa parola mi rimette in asse con me stesso: io non sono il padrone ma il servo. Questo, però, non va confuso con una posizione di prostrazione nei confronti del proprio partner o dei propri figli: è legittimo educare, spiegare all’altro quello che si prova o raccontare i propri bisogni affettivi o concreti. La vera questione è un’altra: quello che facciamo, lo facciamo identificandoci nel padrone o nel servo? Se stiro, lavo, curo, cucino, ascolto, scarrozzo in macchina, educo, però, in fondo, penso di essere il padrone, allora, a un certo punto, rivendicherò i miei diritti in modo intransigente e obbligherò le persone attorno a me a corrispondermi. Se invece amo e mi adopero nel ruolo di servo, allora posso educare al riconoscimento e alla gratitudine, ma accogliendo anche la possibile non corrispondenza. Ovviamente, se mi arriva una gratificazione ben venga, ma solo sapendo che essa non mi è dovuta il mio cuore sarà pronto a servire gratuitamente, perché in fondo so che sto solo facendo quello che mi spetta.

Quando una coppia in crisi arriva da me, spesso entrambi gli individui si identificano con il ruolo del padrone. Entrambi pretendono che l’altro abbia certi atteggiamenti e faccia certe cose, e rivendicano di essere riconosciuti e ricompensati. Se, come ho visto fare ad alcune coppie nel tempo, i due, lavorando su se stessi, decidono di abitare la posizione del servo inutile, la loro relazione torna a sbocciare. Ognuno dei due si mette a servire l’altro senza contabilizzare il corrispettivo, si donano, si amano, si servono e nessuno rivendica salari emotivo/affettivi. La relazione allora rifiorisce grazie al fatto che entrambi sono a servizio del loro unico padrone: la loro relazione d’amore e il Padre che la custodisce. Vi auguriamo, allora, di riconoscervi servi inutili nei confronti dei vostri figli e del vostro sposo/a, perché così ha fatto anche Gesù lavandoci i piedi e morendo per noi.

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Data di aggiornamento: 27 Ottobre 2025

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