Un regista per san Francesco
Fanno quarant’anni dalla morte di Roberto Rossellini, certamente il più innovativo dei registi del nostro cinema, il più irregolare, il più estraneo alle consuetudini e agli obblighi del sistema cinematografico con le sue tradizioni e imposizioni. Fu lui – con Visconti, ma Rossellini meno legato a modelli letterari – a «inventare» il neorealismo con Roma città aperta e Paisà, ad accostarsi al reale con la freschezza di uno sguardo libero da condizionamenti e pregiudizi, pronto a farsi, dal reale, guidare e ammaestrare; fu lui con Germania anno zero e Europa 51 a saper raccontare meglio di tutti la tragedia di un mondo travolto dalla guerra e dalla sua violenza, non accontentandosi dell’ottimismo facile di altri neorealisti e di una società che si voleva proiettata in una nuova epoca, ma voleva anche dimenticare, troppo in fretta, il passato recente e liberarsi del ricordo dei suoi 60 milioni di morti.
Disordinato e spesso opportunista, mai metodico, Rossellini non cercava il prodotto perfetto, ma come rendere in cinema l’immediatezza e la complessità dell’esperienza umana, e fu tra i pochi – forse l’unico nel cinema italiano, e al di fuori da ogni conformismo confessionale – a sentire e narrare il bisogno di sacro che proprio il confronto con la tragedia della storia e l’irrazionalità della violenza avrebbero dovuto imporre alla sensibilità degli artisti, proiettati invece, e di nuovo, nell’illusione delle «magnifiche sorti».
Lui, che aveva con pochissimi altri (Olivetti, Fortini) compreso da subito la grandezza di Simone Weil, che gli ispirò un film straordinario come Europa 51 che bisognerebbe vedere e rivedere e soprattutto far vedere, osò l’inosabile, una trasposizione cinematografica dei Fioretti di san Francesco che ne rispettasse lo spirito, che ne rendesse la poesia per immagini ma nel modo scabro e semplice di quel testo meraviglioso. Non una «lettura critica» ma un’adesione piena alla sua ispirazione. Dei vari tentativi cinematografici di raccontare la vita di Francesco, per lo più oleografici con la parziale eccezione del primo dei due film dedicati alla figura del Santo da Liliana Cavani, solo il film di Rossellini aiuta a comprendere la religiosità francescana delle origini, la purezza di un rapporto così immediato con la natura, con le creature, con il sacro.
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