Entriamo nel mese mariano con uno sguardo rinnovato grazie a colei che spezza le nostre sterili polarità, perché è vergine e madre, terrestre e celeste, modesta e audace, contemplativa e capace di agire nel modo più opportuno ed efficace.
Possiamo essere in pace e «fare» la pace solo se siamo consapevoli che tutto è in relazione: con l’ambiente, con chi ci ha preceduti, con chi verrà dopo, con chi sembra troppo diverso.
La pace non è una condizione anodina e analgesica, ma una «quiete accesa», per rubare le parole a Ungaretti. Non una «pace vuota», ma una pienezza di vita che richiede la nostra capacità di essere costruttori, attori, «operatori» di pace.
Viviamo il paradosso di temere la dipendenza nelle relazioni, ma non quella da sostanze o da comportamenti che mettono a rischio la salute, l’equilibrio finanziario, a volte la stessa vita. L’«addiction» si è banalizzata.
Mai come oggi c’è bisogno di una parola lievito, che faccia crescere, come scriveva Calvino «ciò che inferno non è». La buona novella di un bambino nato in esilio, con una mangiatoia come culla, che si è fatto carne per salvare il mondo ci illumini.