È passato un anno dalla prima scossa. La speranza ha il volto di Agnese e Giorgia e di quanti non hanno abbandonato Amatrice, Arquata e i paesi dell’Appennino.
«Il velo lo mettiamo in testa. Non dentro la testa» mi rivela Amina. Una donna più anziana sostiene che la bellezza di Algeri faceva dimenticare perfino la fatica e la povertà. Hanno ragione entrambe.
Fate hummus, non la guerra. La bottega di Abu Shaker era affollatissima: ragazzi israeliani e ragazzi palestinesi a fianco uno all’altro. Continuo a sperare in una possibile convivenza fra i due popoli.
Insicurezza, paura, panico. Come vincere queste sensazioni, prodotte dagli attacchi terroristici in Occidente e dall’eco che hanno sui mass media? Non siamo solo vittime: siamo esseri umani che possono, insieme, reagire.